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Gaza, l’Europa e un’occasione da non sprecare

Lodovico Festa

Tempo di Lettura: 3 min
Gaza, l’Europa e un’occasione da non sprecare

Dopo che l’IDF e il Mossad hanno destrutturato le varie forze jihadiste, da Hamas a Hezbollah, dagli alawiti siriani agli Houthi (in parte), organizzate e finanziate da un Iran anch’esso messo alle corde, il 17 novembre l’incontro tra Mohammad bin Salman e Donald Trump e la contemporanea risoluzione dell’Onu hanno portato a una tregua nella guerra a Gaza che può potenzialmente produrre un assetto stabile per il Medio Oriente.

Il problema è sfruttare il momento: se tra l’occasione che si è manifestata e la realizzazione degli accordi impostati passa troppo tempo, le forze ostili a una stabilizzazione di quest’area così importante per il mondo riprenderanno l’iniziativa. Così l’Iran, che già si sta riarmando; così la Cina, ostile all’accordo India–Medio Oriente–Mediterraneo; così in parte la Turchia, con qualche sponda nel Qatar, che teme un’egemonia egiziano-saudita. Né si può contare troppo su Mosca, impegnata a proteggere la propria aggressione all’Ucraina. E, di riflesso, reazioni negative che ostacolino i processi di pacificazione possono svilupparsi anche tra coloni israeliani non ben consapevoli della tragica difficoltà della situazione.
Che cosa possono fare gli italiani e gli europei coscienti che difendere Israele significa proteggere la civiltà liberaldemocratica occidentale?

Dopo la furia nichilistica che ha visto parte della nostra gioventù esprimere una qualche disperazione esistenziale appoggiando quei tagliagola di Hamas, una reazione all’antisemitismo crescente si sta manifestando: anche grazie all’orrore per la strage compiuta dai jihadisti a Bondi Beach, a Sydney, durante una celebrazione di Hanukkah. In Francia, ministero degli Interni e servizi segreti hanno intensificato la vigilanza e l’iniziativa poliziesca innanzi tutto sui Fratelli musulmani, e così in Gran Bretagna. Alla fine solo a certi settori di una magistratura italiana, in parte malata per il suo ordinamento ipercorporativo, pare sfuggire la trama internazionale che sta dietro alla diffusione del jihadismo in Occidente.

Il problema di contrastare una ripresa del jihadismo su scala globale, però, non è solo una questione di polizia: è anche una questione di lotta culturale all’antisemitismo, come ha compreso bene Graziano Delrio (ma non Elly Schlein), ed è un problema politico-militare complesso per un Occidente impegnato su molti fronti, a cominciare dall’Ucraina, mentre gli americani sono concentrati innanzi tutto su Sud America e Indopacifico.

L’incontro tra Friedrich Merz e Yitzhak Herzog è stato una buona risposta alle scomposte iniziative di boicottaggio di Israele all’Eurovision da parte di Spagna, Irlanda e Slovenia. Ma le parole non bastano. Oggi il principale problema da risolvere è apprestare una forza militare che a Gaza possa vigilare su un’operazione che, sul modello della Germania post-1945, miri a denazificare la Striscia, disarmando ed emarginando i terroristi e rimuovendo per il futuro ogni propaganda antisemita.

L’integrazione europea è avanzata negli ultimi ottant’anni per salti. Oggi impegnarsi a intervenire in Palestina potrebbe essere un altro di questi. Non appare realistico unificare in tempi brevi gli eserciti dei 27 Stati europei, ma costituire invece una Legione europea che, preferibilmente d’intesa con la Lega araba, eserciti una concreta funzione di forza di pace a Gaza potrebbe essere possibile.

L’importante è che chi si è mobilitato in questi anni dopo gli atroci attentati del 7 ottobre 2023 non si limiti alla denuncia, ma sia anche in grado di proporre scelte concrete e, su queste, di organizzare il consenso.


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