L’avvio del processo di pace ha lasciato molti orfani. Non vi è dubbio che, accanto a una significativa quota di persone sinceramente (ancorché asimmetricamente) motivate dalla crisi umanitaria di Gaza, le manifestazioni di piazza abbiano raccolto molti alla ricerca di un catalizzatore del loro malessere.
Si è aperto quindi il dibattito sulle sue cause, quasi nella speranza che ora trovino nuovi canali di espressione. Secondo Federico Fubini, su Il Corriere della Sera, la ragione della protesta sarebbero i bassi salari. Se così fosse, tuttavia, le adesioni agli scioperi pro-Pal avrebbero dovuto essere consistenti. Tutti gli indicatori, invece, le limitano proprio ad alcune grandi aziende — come le partecipate dallo Stato o le utilities pubbliche — nelle quali i contratti integrativi hanno consentito incrementi retributivi ben superiori all’inflazione.
Nella gran parte del sistema privato, fatto di imprese medie e piccole, non è nemmeno arrivato l’eco dello sciopero “generale”. Ora, il tema dei salari è così serio che non si può consegnare a una generica analisi. In Italia, l’autorità salariale è la contrattazione collettiva governata dalle grandi confederazioni sindacali. In essa ha prevalso la logica centralistica ed egualitaria del sindacato ideologico, che ha penalizzato i redditi mediani. È lo stesso sindacato che convoca lo sciopero politico per Gaza ma non propone percorsi per la crescita delle retribuzioni.
I tentativi dei riformisti — nel sindacato e nella politica — di spostare il baricentro contrattuale nelle aziende e nei territori si sono sin qui ridotti a miseri risultati. Non a caso, in fase di predisposizione della legge di bilancio, si sta discutendo di detassare il salario premiale e quello determinato da lavoro notturno o festivo, per incoraggiare il merito, la scomodità e gli accordi che li promuovono.
Vi è tuttavia, soprattutto in una significativa minoranza di giovani, una ragione di malessere ben più profonda, che risiede in una sorta di perdita di senso. Essa si traduce anche nel rifiuto del lavoro e della ricerca, attraverso di esso, dell’emancipazione personale. Questa perdita si è prodotta con la negazione della cultura occidentale e delle sue radici. Proprio ciò che Israele rappresenta.
Gaza e salari, quel malessere oscuro
Gaza e salari, quel malessere oscuro