«Nessuna maschera è più perfetta di quella che indossa chi la nega», ammoniva Elias Canetti. Francesca Albanese, Relatrice Speciale dell’ONU sui territori palestinesi dal 2022, sembra incarnare appieno questo paradosso. Incaricata di vigilare sui diritti umani con imparzialità, ha trasformato il mandato in un pulpito ideologico. La Risoluzione 5/1 del Consiglio dei diritti umani stabilisce requisiti inderogabili: indipendenza, imparzialità, integrità. Requisiti che numerosi osservatori internazionali ritengono sistematicamente disattesi.
Le credenziali non sono prive di zone d’ombra. Per anni Albanese si è presentata come «avvocato internazionale». Ha poi ammesso a Vanity Fair: «Non ho fatto l’esame, non sono avvocato». Il registro forense conferma: nessuna abilitazione. Gli Stati Uniti le hanno contestato il travisamento delle qualifiche, segnalando errori giuridici che metterebbero in luce questa lacuna. Quando l’apparenza tende a sostituirsi alla sostanza, ci troviamo davanti a quello che Pirandello definirebbe un personaggio in cerca d’autore. Peccato che l’autore, in questo caso, sia l’ONU.
Sul fronte dell’imparzialità, il quadro si fa ancora più problematico. Nel 2014 Albanese ha scritto che l’America sarebbe «soggiogata dalla lobby ebraica», espressione che l’Ambasciatrice statunitense ha definito «antisemitismo palese». Nel 2015 ha condiviso articoli secondo cui CIA e Mossad avrebbero orchestrato gli attentati di Parigi. La Francia ha reagito duramente: «Sembrare di giustificare il 7 ottobre mescolandovi l’ONU è una vergogna».
Nel mandato attuale Albanese ha descritto Hamas — designata come organizzazione terroristica da Stati Uniti, UE e Canada — come una «forza politica» che «ha costruito scuole e ospedali», arrivando a paragonare Netanyahu a Hitler. Nel settembre 2025 ha dichiarato che 380.000 bambini sotto i cinque anni sarebbero morti: peccato che l’intera popolazione di quella fascia sia di 341.790. Un’impossibilità aritmetica. Albanese ha poi ammesso di aver utilizzato dati inventati «in modo provocatorio». Pare che la verità, a volte, sia un dettaglio trascurabile quando ostacola la causa.
Il Code of Conduct vieta ai Relatori Speciali di ricevere finanziamenti da soggetti non governativi. Nel novembre 2023 Albanese ha effettuato un viaggio in Australia costato 22.500 dollari, sponsorizzato dall’Australian Friends of Palestine Association. Un rapporto ONU ha confermato il «finanziamento esterno». I documenti mostrano inoltre che chiedeva il trasferimento degli onorari «al suo volontario». Una contraddizione procedurale che rasenta la commedia dell’arte.
Dopo l’assalto a La Stampa Albanese ha dichiarato: «Condanno la violenza, ma questo sia un monito alla stampa». Durante In Onda ha lasciato lo studio quando Giubilei ha citato Liliana Segre. Quando Fubini le ha ricordato che «non è suo compito decidere», ha risposto: «La Commissione è la cosa più vicina a un giudice», attribuendosi un’autorità che il mandato non le riconosce. Ha poi rifiutato «confronti con persone non preparate», singolare manifestazione di apertura al dialogo.
Particolarmente discussa la sua affermazione: «Se una persona ha un tumore, non va dal sopravvissuto ma dall’oncologo». Parole che sembrano relegare l’opinione di Liliana Segre, sopravvissuta all’Olocausto, a irrilevanza nelle questioni legate al genocidio. Una frase che solleva interrogativi seri sulla compatibilità di Albanese con qualunque incarico istituzionale.
Francia, Germania, Stati Uniti, Canada e Paesi Bassi l’hanno pubblicamente condannata: evento senza precedenti. L’Olanda ha chiesto la sua rimozione. Nel luglio 2025 Washington le ha imposto sanzioni, parlando di «anni di virulento antisemitismo» e «totale mancanza di imparzialità».
Alla luce dell’evidente politicizzazione del mandato, un passo indietro parrebbe non solo opportuno, ma necessario. Albanese è libera di proseguire un’attività di militanza politica: non, tuttavia, indossando l’autorità e la credibilità che dovrebbero appartenere alle istituzioni delle Nazioni Unite.
Quando l’imparzialità diventa un optional e l’integrità un ostacolo, si smarrisce il senso stesso delle istituzioni internazionali: proteggere i diritti umani. «Il peggior danno», ricordava Hannah Arendt, «non lo fa chi compie il male, ma chi lo fa credendo di servire il bene». Il prezzo di questo smarrimento lo pagano, paradossalmente, proprio le persone che tali istituzioni dovrebbero difendere.
Francesca Albanese: quando l’imparzialità cede il passo all’ideologia
Francesca Albanese: quando l’imparzialità cede il passo all’ideologia

