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Finlandia, quando il boicottaggio diventa moda

Rosa Davanzo

Tempo di Lettura: 3 min
Finlandia, quando il boicottaggio diventa moda

C’è una strana aria nel Nord Europa, un misto di virtuismo etico e distrazione strategica che sembra contagiare anche un Paese solitamente sobrio come la Finlandia. La catena S-ryhmä, che insieme alla concorrente K-ryhmä controlla quasi tutto il mercato alimentare nazionale, ha deciso di sospendere gli acquisti di prodotti israeliani. Temporaneamente, dicono. In attesa dei “negoziati di pace” e della “posizione dell’Unione Europea”. Una versione aggiornata del solito: finché non cambia il vento, evitiamo complicazioni.

La decisione non riguarda soltanto datteri, cosmetici o le macchine SodaStream: pesa il simbolo, non la merce. Quarantasei voti contro nove nel consiglio regionale di Helsinki, come se il mercato fosse il luogo adatto per dare un colpetto alla geopolitica. E mentre lo annunciano, precisano che non verrà tolto nulla dagli scaffali: non è un boicottaggio integrale, è un gesto, un segnale, una posa. Un modo per dire: “Ci teniamo e siamo vigili. E questo il nostro marchio morale”. Senza però rinunciare agli incassi.

Nel frattempo, nel nord del Paese si protestava da settimane contro un progetto turistico in Lapponia guidato da un’azienda israeliana. Un comprensorio sciistico, un hotel di lusso e, intorno, ambientalisti e identitari che contestano l’impatto sull’ecosistema artico. Qui la politica è stata più chiara: deputati dei partiti di Sinistra e dei Verdi hanno abbracciato la causa dei manifestanti. Non importa molto chi costruisce cosa, conta la bandiera da issare.

E in questo periodo l’accusa preferita è la stessa: Israele. Il tempismo poi è quasi grottesco, perché Helsinki negli ultimi anni ha comprato proprio da Israele alcuni dei sistemi militari che oggi proteggono il suo territorio dalla minaccia russa. Difesa aerea, cyberdifesa e soprattutto la Fionda di Davide, acquistata per una cifra vicina al miliardo e trecento milioni di shekel. Sistemi che non servono per far colpo nei salotti progressisti, ma per evitare che un missile russo cada su una città finlandese.

Una fonte israeliana l’ha riassunta con brutale realismo difficile da contestare: senza quelle capacità, la calma sul confine orientale non esisterebbe. Ed è qui che il gesto di S-ryhmä diventa un perfetto piccolo paradosso nordico. Da una parte si interrompono gli acquisti di datteri, dall’altra si invocano le tecnologie israeliane per tenere a bada Putin.

Si protesta contro un hotel, ma si tengono in tasca i sistemi antimissile. Si mostra sensibilità sull’operazione a Gaza, ma si continua a dipendere da chi ha sviluppato le uniche tecnologie che rendono possibile la sicurezza finlandese. Il punto non è il supermercato, ovviamente. È il clima. È la trasformazione del boicottaggio in un bene di consumo, un accessorio da appendere alla giacca politica, qualcosa che non costa troppo ma fa sentire migliori. Mentre l’Europa, sempre più fragile, continua a scambiare la complessità con il gesto simbolico, la fermezza con la scelta estetica. La Finlandia non è ostile a Israele.

È molto peggio: è confusa. E quando un Paese che vive ai margini della sfera russa inizia a fare politica estera con la logica delle offerte del venerdì, non è solo Israele ad avere un problema ma tutto il buon (buono?) Vecchio Continente.


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