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Fa comodo qualcuno da odiare

Beppe Attene

Tempo di Lettura: 5 min
Fa comodo qualcuno da odiare

L’ondata di antisemitismo che attraversa l’Italia impone riflessioni che vanno oltre la pur necessaria difesa degli ebrei e del Popolo di Israele. Anzitutto è ormai evidente che l’antisemitismo non appartiene a una sola «cultura» politica: è trasversale, e ogni campo lo declina con il proprio linguaggio. Ai nostalgici che inneggiano a Predappio varrebbe la pena consigliare di studiare con attenzione il percorso di Mussolini rispetto all’ebraismo, da San Sepolcro alle leggi razziali: scoprirebbero elementi tutt’altro che banali. Ma non lo faranno. Allo stesso modo, ai giovani “rivoluzionari” che oggi si proclamano pro-Palestina andrebbe suggerita una lettura attenta di Mein Kampf, scritto da Adolf Hitler nel carcere di Monaco con la collaborazione di Rudolf Hess: scoprirebbero quanto certe analisi e parole d’ordine che riecheggiano nelle piazze traggano origine da quel testo. Ma nemmeno loro lo faranno.

L’attacco del 7 ottobre 2023 non è nato dal nulla: è stato preceduto e poi sostenuto da un lungo lavorìo antiebraico diffuso sul territorio nazionale, soprattutto in ambienti già attraversati da altre frustrazioni. I falsi protettori del popolo palestinese sapevano di avviare una battaglia “finale”, con l’obiettivo dichiarato di distruggere Israele anche al prezzo del sacrificio di coloro che dicevano di difendere. Una maggiore attenzione dei nostri servizi avrebbe forse potuto limitare o almeno controllare l’accoglienza in Italia di profughi definiti giordani ma in realtà militanti di Hamas, tenuti e pagati per rimanere in sonno nell’attesa di agire. Questa disattenzione è figlia postuma del “lodo Moro”, che consentì al FPLP di usare l’Italia come base di transito e di accoglienza di armi destinate a attentati in altre nazioni? Forse. Tutto può essere.

Non è credibile, d’altra parte, che la società civile italiana abbia elaborato da sola, dall’interno, questa disposizione antiebraica sulla scia delle conseguenze della guerra iniziata da Hamas quel maledetto 7 ottobre. In tre anni di aggressione russa contro l’Ucraina, nessuno si è indignato con pari intensità: pochi chiedono notizie delle migliaia di bambini rapiti e “adottati” dagli invasori; interi territori, in cui il voto aveva segnato l’adesione all’Ucraina, sono stati occupati con le armi. Senza l’eroica resistenza ucraina e la mobilitazione di chi – come i polacchi – conosce la storia delle truppe sovietiche in combutta con quelle naziste, forse Putin guarderebbe già alla Finlandia. Eppure quasi nessuno ha sentito il bisogno di manifestare dissenso o anche solo preoccupazione.

Insomma, l’antisemitismo è più vasto e profondo di quanto suggeriscano i fatti del presente. A poco serve ricordare la storica osmosi tra popolo italiano e componente ebraica: che Daniele Manin fosse ebreo; che gli ebrei costituissero circa il 20% delle truppe garibaldine; che l’ebraismo abbia partecipato consapevolmente alla costruzione dell’Italia. Anche su questa consapevolezza – che taluni vorrebbero brandire per distinguere «i nostri ebrei» dagli altri – si abbatte una valanga di odio e discriminazione nascosta nel cuore della nostra società. È con questa che oggi dobbiamo fare i conti. Ne dipende, in ultima analisi, il nostro futuro come specie storicamente determinata.

L’ebraismo ha consegnato all’umanità un principio fondante, da cui discendono elementi essenziali. L’affermazione del monoteismo non ha “migliorato” di per sé i comportamenti umani, ma li ha sottratti al relativismo del politeismo, assegnando loro una inesauribile componente etica con cui confrontarsi, sulla base della quale scegliere il bene o il male. Su questo fondamento si sono innestate altre tradizioni religiose – tra cui Cristianesimo e Islam – e molte correnti filosofiche. Oggi, però, pare avanzare un nuovo politeismo laico e materialista che si manifesta anzitutto nell’antisemitismo e, quasi inconsapevolmente, prospetta un Olimpo moderno in cui tutto è permesso all’uomo.

Il riconoscimento di una Volontà e Intelligenza creativa – che i liberi muratori chiamano «Grande Architetto dell’Universo» – sottrae casualità al mondo e indica che l’insieme dell’esistenza ha una finalità cui gli esseri umani devono adeguarsi dopo averla riconosciuta. In una parola: l’esistenza di un Creatore sancisce la specificità della specie umana rispetto alle altre. Sulla finalità e sulla strada migliore per corrispondervi si discute da millenni; ma senza l’intuizione – o la Rivelazione – trasmessa circa seimila anni fa attraverso il popolo ebraico, questa via di consapevolezza e dignità non si sarebbe mai aperta. Vivremmo e ci riprodurremmo in un universo materiale privo di senso, se non di momento in momento.

Forse è per questo che dal profondo della società riemerge l’odio antisemita: perché si preferirebbe vivere come bestie, appropriandosi di tutto ciò che si vede e si sente, scambiando l’orrore per libertà. Ecco perché chi riconosce e ama la cultura di quel popolo che Giovanni Paolo II definì «i nostri fratelli maggiori» deve impegnarsi a combattere. La guerra finirà. Israele non si estinguerà, ma nemmeno chi punta alla sua distruzione smetterà di combattere. Molto altro accadrà. A noi il compito di impedire che l’umanità disperda, accecata, quel patrimonio di identità che – grazie anzitutto all’ebraismo – ci ha condotti fin qui.

Infine, per chi fosse curioso di sapere se io sia ebreo: non lo sono. Le fonti antiche di storia sarda ricordano una famiglia Athen che si convertì al Cristianesimo e ottenne il Giudicato di Logudoro. I Pisani, che avevano con loro il figlio del giudice precedente, li sconfissero e se ne persero le tracce. Rimase soltanto la “H” nel cognome; poi arrivarono le leggi razziali. Mio nonno conciava pelli e fabbricava redini e selle per l’Esercito italiano: gli fu spiegato che doveva italianizzare il cognome per continuare a lavorare. Di tutto ciò rimane la “H” sui libri che mio padre, da studente universitario, intestava con nome, cognome e data.


Fa comodo qualcuno da odiare
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