Oggi Massimo Bordin avrebbe compiuto gli anni. La sua scomparsa ha lasciato un vuoto, il ‘Maestro’, come lo chiamavo scherzosamente ma non troppo, ci manca ogni giorno. Così, dopo aver fatto machine learning a ChatGpt, dandogli in pasto tutto l’archivio delle sue tracce audio per Radio Radicale, ho provato a chiedere all’AI come avrebbe risposto lui ad alcune domande sul complicato periodo storico che stiamo vivendo, a sei anni dalla sua morte.
Caro Massimo, buon compleanno. Ovunque tu sia. Il tuo sguardo razionale, impietoso e colto ci manca.
«Il compleanno è solo un espediente temporale. Le idee, se alimentate, non invecchiano mai.»
Trump: incognita pericolosa o stratega dell’imprevedibile?
«Le sue intemperanze non sono incidenti, sono metodo. In politica estera trasformare un tweet in linea d’azione crea un problema: gli alleati restano sospesi, in attesa del prossimo cambio di rotta. Ci vogliono – o almeno ci vorrebbero – fatti, ma anche una grammatica di relazioni che non viva di colpi di teatro.»
L’Europa deve crescere e imparare a fare da sola?
«Autonomia significa tre cose: difesa comune, politica estera unitaria, capacità tecnologica e industriale propria. Tradotto: mettere mano ai bilanci e cedere un pezzo di sovranità. Sull’Europa si fanno sempre grandi dichiarazioni; poi ci si rifugia nei regolamenti. Finché resta così, “fare da soli” è uno slogan, non una strategia.»
Sono passati 680 giorni da quel 7 ottobre: Israele è sotto attacco non solo militarmente, ma anche sul piano mediatico, culturale e cognitivo. L’informazione è oggi un campo di battaglia?
«Sì. La verità senza racconto scivola via. Hamas conosce bene il potere delle immagini e delle parole; Israele confida troppo nei fatti. Ma i fatti non parlano da soli: vanno messi in sequenza, spiegati, difesi. È lì che si vince o si perde ogni giorno.»
Tu hai a lungo ragionato, a Radio Radicale, dell’opportunità di stringere un trattato di associazione tra Unione Europea e Israele. Visti i tempi che viviamo, la cosa si fa difficile…
«Difficile, e proprio per questo necessaria. Un’associazione UE–Israele avrebbe due effetti: riconoscere in modo strutturale la legittimità dello Stato ebraico nello spazio politico europeo e alzare il costo della propaganda che lo descrive come un corpo estraneo. Ma c’è un nodo culturale prima che diplomatico: in molte capitali europee l’ostilità verso Israele è attraversata da un antisemitismo che ha cambiato lessico, non natura. Sciascia avvertiva che certe malattie civili “quando sembrano scomparse, si sono soltanto nascoste”. Ecco: l’antisemitismo si è nascosto dentro la retorica politica. Se non lo si nomina e non lo si contrasta, ogni trattato resterà ostaggio dei pregiudizi. Servono coraggio politico e una scelta di campo: dire che Israele non è un ospite di passaggio, ma un partner pieno, sul piano dei valori, della tecnologia e della sicurezza.»
Viviamo in un’epoca più instabile o semplicemente più veloce?
«Direi impaziente. La diplomazia ha tempi lunghi, i social hanno il fiato corto. Vince chi tiene insieme le due cose: la solidità delle decisioni e una comunicazione capace di spiegare senza semplificare.»
In quest’epoca di impazienza, troveranno ancora spazio voci autorevoli come la tua?
«Sì, se accetteranno una disciplina: parlare chiaro senza diventare gridatori, difendere la complessità senza farsi fagocitare dal gergo. L’autorevolezza non è volume: è coerenza nel tempo e rispetto dei fatti. Se c’è, lo spazio si apre da sé.»
Europa, Trump e Israele: conversazione immaginaria con Massimo Bordin Europa, Trump e Israele: conversazione immaginaria con Massimo Bordin Europa, Trump e Israele: conversazione immaginaria con Massimo Bordin