Per Vernetti il baricentro della geopolítica odierna passa dal Medio Oriente: qui si incrociano sicurezza energetica, rotte marittime, tecnologie critiche e legittimità politica dell’Occidente. Ne parla nel suo ultimo libro, Il nuovo Grande Gioco, in uscita con Solferino. Il conflitto israelo-palestinese, le milizie filo-iraniane e la partita della normalizzazione arabo-israeliana non sono capitoli separati, ma livelli di un’unica competizione che collega Mediterraneo, Golfo e Indo-Pacifico. La simultaneità delle crisi riduce i margini decisionali: deterrenza, logistica e narrativa devono muoversi insieme, altrimenti la superiorità materiale delle democrazie non si traduce in vantaggio strategico.
Interpellato sull’esistenza di un asse Russia-Cina-Iran, Vernetti osserva che il Medio Oriente è lo snodo visibile di quella convergenza: Teheran proietta influenza attraverso una costellazione di proxy (Hezbollah, milizie in Iraq e Siria, Houthi) che colpisce Israele e minaccia la libertà di navigazione nel Mar Rosso; Mosca capitalizza il disordine per guadagnare spazi diplomatici; la Cina, con peso finanziario e tecnologico, conferisce profondità al fronte revisionista. Senza l’ossigeno politico-economico che arriva da Pechino, la resilienza di Russia e Iran si indebolirebbe; con Pechino, invece, si consolida un racconto alternativo che fa presa nel Sud globale.
Sul terreno cognitivo, Vernetti sottolinea che Israele è bersaglio prioritario di campagne sincrone di disinformazione: manipolazioni di immagini e contesti, falsi paragoni storici, sovraesposizione di frame che erodono il consenso internazionale. L’obiettivo è fratturare le società aperte, rendere costosa la solidarietà con Gerusalemme e depotenziare la deterrenza. Qui la dimensione informativa non è ancillare: senza una narrazione coerente e verificabile — capace di spiegare obiettivi, limiti e condizioni del ricorso alla forza — anche successi tattici restano politicamente fragili.
A proposito di piattaforme digitali, il caso TikTok diventa esemplare: governance e proprietà non sono neutrali rispetto al conflitto. Algoritmi, micro-targeting e creator economy costruiscono camere d’eco emotive che polarizzano e disintermediano. Il risultato, nota Vernetti, è un vantaggio strutturale per chi opera con strumenti ibridi: la gerarchia della visibilità può essere modulata per spingere narrazioni ostili a Israele, delegittimare i partner arabi moderati e indebolire la fiducia nelle istituzioni occidentali. La risposta non può limitarsi alla regolazione: servono alfabetizzazione della resilienza e protocolli di trasparenza sugli assetti proprietari.
Spostando il fuoco sull’architettura regionale, Vernetti vede una finestra di opportunità oltre le tregue: rilanciare gli Accordi di Abramo come pilastro di stabilità, intrecciandoli al corridoio economico India-Medio Oriente-Europa. Interdipendenze infrastrutturali — porti, energia, logistica, connettività digitale — aumentano il costo dell’escalation e creano incentivi concreti per i Paesi arabi interessati a crescita e tecnologia. Isolare Hamas significa anche prosciugare le sue filiere di legittimazione economica e propagandistica, non solo il suo apparato militare.
Sul punto cruciale dell’Arabia Saudita come potenziale game changer, Vernetti è netto: un’intesa Riad-Gerusalemme ridisegnerebbe la regione. Il 7 ottobre ha tentato di sabotare proprio quel percorso; ripartire di lì implica valorizzare tre leve saudite — finanziaria, religiosa, geopolitica — per catalizzare investimenti, sicurezza marittima e integrazione energetico-tecnologica. La normalizzazione, però, non è un evento binario: va costruita per passaggi successivi e condizionati, con benefici misurabili a ogni tappa, così da rendere crescente il costo politico del ritorno all’instabilità.
Quanto a Gaza e allo scenario di medio periodo, Vernetti prospetta un disimpegno israeliano accompagnato da una gestione araba moderata, con progressiva marginalizzazione di Hamas. Ricostruzione “a tranches” vincolata a rigide metriche di sicurezza, riforme amministrative e controllo dei fondi; rafforzamento della sicurezza di confine; e un percorso politico graduale che integri sicurezza, sviluppo e riconoscimento reciproco. In parallelo, l’accelerazione del corridoio India-Golfo-Israele-Europa può diventare un ammortizzatore strategico: connette capitali e tecnologie, stabilizza rotte e riduce la rendita del caos.
Sulle implicazioni per l’Europa, l’autore propone una linea operativa coerente con il teatro mediorientale: ruolo più saldo nel pilastro europeo della NATO, cooperazione industriale sulla difesa (difesa aerea, munizionamenti, capacità a lungo raggio), protezione delle infrastrutture critiche (cavi, porti, terminal energetici), presidio del Mar Rosso e del Mediterraneo allargato. Non si tratta solo di “aiutare” Israele o i partner arabi moderati, ma di difendere l’interesse europeo su energia, supply chain e sicurezza marittima. Una “coalizione dei volenterosi” intra-UE può colmare i vuoti di tempistica e capacità, mantenendo cornici comuni.
Sul piano dottrinale, Vernetti propone tre correzioni di rotta utili anche al dossier Israele: 1) integrare la dimensione cognitiva nella pianificazione, con campagne di comunicazione trasparenti e verificabili; 2) trattare la Cina come perno del fronte revisionista, calibrando deterrenza e de-risking per non alimentare dipendenze critiche che si riflettono nel Golfo; 3) usare i corridoi economici come strumenti di sicurezza, non come allegati allo sviluppo. In sintesi: connettere diplomazia, infrastrutture e informazione per aumentare il costo dell’aggressione e diminuire il premio dell’instabilità.
Ne esce un quadro nel quale Israele non è solo un attore militare, ma un hub di innovazione e sicurezza regionale, da integrare in reti economiche e tecnologiche più estese. Se il “nuovo grande gioco” si gioca sul tempo — finestre decisionali brevi, cicli informativi accelerati, supply chain in movimento — la risposta è una strategia a più livelli: deterrenza credibile, governance della ricostruzione, alleanze economiche che rendano dispendiosa la guerra e conveniente la pace. Il volume in uscita promette una grammatica per tenere insieme questi piani: un metodo per leggere Medio Oriente e Israele non come eccezione eterna, ma come perno di una stabilità possibile.
Esce domani il nuovo libro di Gianni Vernetti, Il nuovo Grande Gioco, con Solferino
Esce domani il nuovo libro di Gianni Vernetti, Il nuovo Grande Gioco, con Solferino