Dopo aver conquistato una fetta consistente del mercato globale dei droni militari, Recep Tayyip Erdogan alza l’asticella e guarda apertamente alla grande lega navale. L’annuncio della costruzione di una portaerei lunga 300 metri segna un passaggio politico e industriale rilevante: non solo per la Turchia, ma per gli equilibri interni della NATO. Sarebbe infatti una delle unità più grandi mai realizzate all’interno dell’Alleanza, seconda solo ai colossi statunitensi.
Finora il fiore all’occhiello della marina turca è stata la TCG Anadolu, nave d’assalto anfibio da 232 metri concepita soprattutto come piattaforma per droni armati e velivoli a decollo corto. Il nuovo progetto cambia scala e ambizione. Le prime ipotesi parlano di una capacità di circa 50 velivoli, con 20 operativi a bordo, e di un equipaggio che potrebbe arrivare a 800 militari. Ma il dato più significativo non è numerico: è concettuale. La futura nave dovrebbe adottare un sistema di lancio a catapulta, abbandonando la rampa “ski-jump” tipica delle unità più piccole. Questo apre la strada a un impiego molto più flessibile e aereo-centrico.
Il confronto è immediato. Con i suoi 300 metri, la portaerei turca supererebbe la britannica Queen Elizabeth e la francese Charles de Gaulle, restando sotto soltanto ai giganti americani come la classe Gerald R. Ford. Non è solo una questione di prestigio: la lunghezza del ponte riflette la varietà e la massa degli aeromobili che una marina può schierare, e dunque il tipo di potenza che è in grado di proiettare.
L’annuncio arriva in un momento diplomaticamente delicato. Washington sta tentando di riaprire un dialogo con Ankara per un eventuale rientro della Turchia nel programma F-35, congelato dopo l’acquisto dei sistemi russi S-400. Israele, che oggi resta l’unico Paese mediorientale a operare l’F-35, mantiene un vantaggio tecnologico netto nel settore degli aerei da combattimento, soprattutto grazie alle sue versioni modificate e integrate localmente. Ma il segnale turco va letto altrove: non nei cieli, bensì nei cantieri.
Qui Ankara corre veloce. Secondo i dati SIPRI, la Turchia è ormai stabilmente tra i principali esportatori mondiali di armamenti, con una crescita che negli ultimi cinque anni ha più che raddoppiato la sua quota di mercato. Se Israele resta avanti per qualità e posizionamento delle grandi aziende, Ankara sta colmando il divario in termini di volume e diversificazione, soprattutto nel navale.
I cantieri turchi sono oggi tra i più attivi al mondo: decine di unità militari in costruzione, non solo per la marina nazionale ma anche per clienti esteri. È qui che la Turchia si propone come potenza industriale completa, capace di progettare, costruire ed esportare sistemi complessi. La futura portaerei non è solo un’arma: è una vetrina.
Restano, ovviamente, le incognite. Una portaerei non è un simbolo, ma un sistema: richiede gruppi aerei adeguati, scorte, addestramento, interoperabilità. E soprattutto stabilità politica e finanziaria nel lungo periodo. Erdogan ha lanciato la sfida. Ora dovrà dimostrare di poterla sostenere fino in fondo, senza che il progetto resti una dichiarazione muscolare buona per i comizi e per le classifiche.
.
Erdogan sogna in grande: la Turchia verso una portaerei da 300 metri
Erdogan sogna in grande: la Turchia verso una portaerei da 300 metri

