Negli ultimi mesi si è andata consolidando una dinamica che fino a poco tempo fa sembrava fantascienza diplomatica: il riavvicinamento fra Egitto e Turchia. Non un semplice gesto simbolico, né un’operazione cosmetica per rasserenare le acque dopo anni di gelo. È qualcosa di più strutturale, più profondo e, soprattutto, più destabilizzante per gli equilibri regionali.
Il segnale più evidente è arrivato ad Ankara, dove il ministro degli Esteri egiziano, Badr Abdel Ati, è stato ricevuto non solo dall’omologo turco Hakan Fidan ma anche da Recep Tayyip Erdogan, al quale ha consegnato un messaggio personale di Abdel Fattah al-Sisi. In un Medio Oriente dove i protocolli contano più dei comunicati, questo è già un indizio. Ma ciò che colpisce è il linguaggio usato nei giorni successivi: si parla di necessità, non di opportunità. E quando due potenze regionali definiscono “necessaria” una coordinazione, significa che stanno leggendo la stessa mappa e, soprattutto, le stesse minacce.
L’analisi più schietta viene dal Cairo: Egitto e Turchia sono potenze strutturali, due Stati che non possono permettersi di ignorarsi. A pesare non sono solo eserciti imponenti e popolazioni vaste, ma la capacità di entrambi di influire sui principali dossier regionali. E per quanto un decennio di incomprensioni – dal sostegno turco ai Fratelli Musulmani alla competizione in Libia, nel Mediterraneo orientale e nel Mar Rosso – abbia scavato fossati profondi, oggi i palazzi del potere arrivano alla stessa conclusione: i tempi non consentono più di viaggiare da soli.
In questo quadro la questione palestinese è tornata ad essere il punto di contatto più evidente. Il Cairo resta il principale mediatore fra Israele e Gaza, un ruolo che nessun altro può svolgere. Ankara, dal canto suo, ha trasformato la causa palestinese in un tassello della propria strategia globale. È chiaro che, con la guerra che ha infiammato la Striscia e con le trattative che si sbloccano e si impantanano di settimana in settimana, la convergenza fra i due Paesi diventa una leva politica non secondaria. Significa che la Turchia ottiene un posto più stabile al tavolo negoziale; significa che l’Egitto si garantisce un partner con peso diplomatico e margini di manovra; significa che Israele dovrà abituarsi a un’interlocuzione più complessa e multilivello.
Gaza però è solo una parte del quadro. Il riavvicinamento tocca l’intero ventaglio dei conflitti regionali: dalla Libia, dove fino a ieri i due governi sostenevano fazioni rivali, al Mediterraneo orientale, dove gli accordi sulle Zone Economiche Esclusive avevano cristallizzato una frattura netta fra blocchi contrapposti. Se Egitto e Turchia scelgono ora di allentare la tensione, di coordinarsi, o addirittura di condividere alcuni dossier, significa che gli assetti costruiti negli ultimi anni rischiano di mutare in profondità.
Poi c’è la sfera economica. Le due diplomazie parlano apertamente di portare gli scambi commerciali a livelli quasi raddoppiati nei prossimi anni. L’Egitto offre accesso privilegiato al mercato africano attraverso il Canale di Suez; la Turchia porta con sé peso industriale e una rete economica capillare dal Caucaso ai Balcani. In sostanza, Cairo e Ankara si stanno muovendo come due potenze che hanno deciso di rimettere ordine in un cortile diventato troppo instabile per entrambi.
È un’evoluzione che può essere molto rischiosa perché quando due attori di tali dimensioni cambiano postura, tutto ciò che gli sta intorno deve ricalibrare la propria. Israele dovrà misurare gli effetti di un fronte egiziano-turco più compatto e la Grecia e Cipro temono che il rapporto privilegiato con Il Cairo possa indebolirsi. I Paesi del Golfo osservano con attenzione: un Egitto più legato ad Ankara potrebbe trasformarsi in un partner meno prevedibile negli equilibri arabi.
Finisce così una fase decennale in cui Egitto e Turchia hanno coltivato la distanza e inizia una fase in cui quella distanza viene considerata non più sostenibile. Se questa riconciliazione diventerà un’alleanza solida o resterà un esperimento tattico, lo sapremo nel prossimo futuro. Ma una cosa è certa: quando queste due potenze si muovono in sintonia, il Medio Oriente ne risente immediatamente. E questa volta il movimento sembra tutt’altro che provvisorio.
Egitto-Turchia. Il nuovo asse che cambia la mappa del Medio Oriente
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