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Egitto e il confine chiuso. Israele e il fronte invisibile dei droni

Shira Navon

Tempo di Lettura: 3 min
Egitto e il confine chiuso. Israele e il fronte invisibile dei droni

“Zona militare chiusa”, è così che Israele ha dichiarato il lungo confine che lo separa dall’Egitto. Tutt’altro che misura simbolica, siamo a un cambio di fase. Dopo giorni e giorni, per non dire settimane di allarmi e di episodi rimasti sotto silenzio, il governo di Gerusalemme ha deciso di intervenire contro una minaccia pressoché impalpabile ma non per questo meno pericolosa: i droni che sorvolando la frontiera trasportando armi, munizioni e droga. Nel deserto del Negev, dove il muro d’acciaio separa Israele dalla penisola del Sinai, la sicurezza non è più una questione di pattuglie a terra, ma di controllo aereo.

Negli ultimi mesi si è infatti moltiplicato il numero di sorvoli sospetti provenienti dal territorio egiziano. Secondo i servizi israeliani, si tratta di voli legati a reti di contrabbando che uniscono clan beduini, gruppi criminali e cellule terroristiche. A volte i droni si fermano nel Negev, a volte puntano più a nord, dove le armi vengono rivendute o smistate. L’Egitto, ufficialmente, nega responsabilità dirette, ma la situazione nel Sinai è da anni fuori controllo tra tribù armate, milizie jihadiste e apparati corrotti che convivono in una zona che il Cairo fatica a dominare.

Il ministro della Difesa Israel Katz ha ordinato all’esercito di chiudere completamente l’area e di cambiare le regole d’ingaggio: ogni “elemento non autorizzato” che entri nella zona potrà essere colpito. Il linguaggio è militare, e lo è anche l’intenzione. Israele considera ormai quei voli parte di una strategia più ampia che mira a indebolirlo da sud, in parallelo alla guerra ancora aperta contro Hamas. Se fino a oggi il fronte egiziano era rimasto stabile, ora il governo teme che diventi la retrovia logistica del terrorismo.

Il confine con l’Egitto è lungo duecento chilometri, costruito dopo anni di infiltrazioni e attentati. Ma la barriera fisica non basta più. I droni eludono radar e telecamere, volano a bassa quota, attraversano il deserto in pochi minuti. L’intelligence israeliana parla di “traffico tecnologico”, un salto di qualità rispetto ai vecchi tunnel o ai camion carichi di armi. Per questo l’esercito sta dispiegando nuovi sistemi di difesa elettronica e unità specializzate nel contrasto ai velivoli senza pilota.

Dietro la decisione di chiudere il confine c’è anche un messaggio politico all’Egitto. Il trattato di pace del 1979 resta formalmente intatto, ma la fiducia reciproca si è logorata. Negli ultimi mesi, le tensioni per Gaza hanno reso i contatti più freddi; il Cairo teme che la guerra spinga i palestinesi verso il Sinai, mentre Israele accusa i militari egiziani di chiudere un occhio sui traffici. I droni diventano così il sintomo visibile di una diffidenza che cresce.

Sul terreno, la militarizzazione colpisce anche le comunità del Negev. Gli abitanti di Nitzana, Kadesh Barnea e delle fattorie circostanti vivono da settimane in una zona dove ogni movimento viene controllato, ogni rumore può sembrare un avvertimento. Ma la sensazione prevalente, più che la paura, è quella di essere in prima linea in una guerra senza confini definiti: una guerra fatta di rotte aeree clandestine, di ombre nel deserto e di un nemico che nessuno vede arrivare.

Il fronte sud di Israele non è più solo sabbia e silenzio. È diventato il laboratorio di un conflitto nuovo, dove il pericolo non cammina ma vola, e dove la sicurezza dipende da quanto a lungo si riesce a guardare in alto.


Egitto e il confine chiuso. Israele e il fronte invisibile dei droni
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