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Due popoli, due Stati, un padiglione

David Palterer

Tempo di Lettura: 3 min
Due popoli, due Stati, un padiglione

La proposta di Pino Boresta di “dare il padiglione israeliano alla Palestina”, apparsa in un articolo su Artribune il sette di ottobre, è solo apparentemente un gesto di generosità e potrebbe essere considerata allo stesso modo offensiva da entrambe le parti.

La guerra di Gaza ha portato in primo piano un conflitto che non è solo politico ma anche culturale, iniziato con il crollo dell’impero Ottomano e la sua implosione, con gli accordi conosciuti come Sykes-Picot, e il colonialismo inflitto dalla Francia e dal Regno Britannico ai territori divenuti un loro protettorato. Nel 1946 gli inglesi hanno istituito, in parte della Palestina, il Regno Hascemita, interpretando il protettorato come un’imposizione economica, amministrativa e culturale.

Il “risorgimento ebraico” nasce nel 1897 seguendo quello degli stati europei, non ultimo quello italiano, ed è conosciuto come Movimento Sionista. Dopo un percorso sofferto per individuare dove “stabilire” il rinnovato stato, esigenza divenuta impellente per i ripetuti pogrom verso gli ebrei nei territori tra Polonia, Ucraina e Russia, dove vi fu la maggior presenza di ebrei, ma anche in alcuni paesi musulmani come Irak, Libia Marocco, la scelta naturale condivisa fu lo stesso territorio da dove erano stati esiliati quasi duemila anni prima e dove, comunque, una minoranza esigua di ebrei continuava a vivere con altre comunità, nessuna delle quali, singolarmente o insieme, è stata però in grado di esprimere una qualsiasi identità nazionale. Il percorso complesso di autodeterminazione dell’insediamento ebraico in Palestina fu caratterizzato quindi da relazioni talvolta consensuali e da altre di conflittualità, come era naturale in un incontro tra realtà diverse.

Il padiglione israeliano, realizzato nel 1952, segue una tendenza architettonica che ha trovato a Tel Aviv la sua massima espressione. Tel Aviv è una new town con la concentrazione più ampia al mondo dello stile Moderno/Internazionale, che vede oltre quattromila edifici censiti, per i quali le è valso il riconoscimento del sito UNESCO (a riguardo si veda anche il saggio “Il Bauhaus in fuga, Ha Ir Ha Levanah La città bianca di Tel Aviv” nel volume Design Espanso, Metilene Editore, Pistoia 2025). Si tratta quindi di un monumento della/alla autodeterminazione culturale del “nuovo ebreo”, libero dalla “subordinanza” che ha determinato duemila anni di diaspora, mentre per i palestinesi rappresenterebbe un emblema per la loro nakba, e la mancata occasione per la propria autodeterminazione.

Per gli israeliani ha significato essere “nazione tra le nazioni”, mentre per i palestinesi sarebbe un atto di colonialismo, anche e prevalentemente culturale, perciò qualsiasi intervento all’interno del padiglione non potrebbe essere considerato né dagli uni né dagli altri un’azione verso l’auspicata e necessaria Tolleranza, bensì il suo opposto!

La Pace è una parola vuota in mancanza di tolleranza, di un dialogo, e purtroppo la cultura oggi si schiera in modo da accrescere il solco tra i belligeranti, come lo sarebbe la proposta di Pino Boresta.


Due popoli, due Stati, un padiglione
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