Dal 3 al 5 settembre si svolgerà, a Torino, il XXXIV Congresso Geografico Italiano, con un programma ricchissimo. Purtroppo anche questo evento non è sfuggito a chi del boicottaggio d’Israele si fa bandiera. Riunitisi sotto il nome di «Assemblea Geografa», alcuni studiosi hanno chiesto al comitato organizzatore di esprimersi nei confronti di due partecipanti: il prof. Storper e la dott.ssa Nufar.
Il primo accusato «di trasmettere un messaggio politicamente e moralmente problematico», avendo firmato nel 2023 un appello contro gli accampamenti dei BDS negli Atenei; la seconda per via della sua affiliazione accademica, ovvero l’Università Ebraica di Gerusalemme.
Alla richiesta di chiarimenti, il Comitato Organizzatore – come si può leggere sul sito del congresso stesso – ha risposto esprimendo due diverse mozioni. Nessuna delle due, anche se con apprezzabili sfumature, ha respinto con inequivocabile fermezza la richiesta ricevuta. Tanto che, in apertura del congresso, prima della relazione del prof. Storper – che non è israeliano e neppure ebreo – ci sarà una tavola rotonda cui parteciperà anche un esponente del gruppo BDS. Dal canto suo, il professore riadatterà il suo intervento «in un momento di dialogo e confronto sulle conseguenze delle operazioni a Gaza e sul tema della libertà accademica».
Per quel che riguarda la dott.ssa Nufar, la sua partecipazione viene ritenuta plausibile dalla mozione di maggioranza in quanto «non rappresenta formalmente l’istituzione a cui è affiliata, né è stata incaricata o reclutata per partecipare agli sforzi di Israele di ripulire la propria immagine internazionale».
Se l’iniziativa di esporre una bandiera nera in segno di lutto per le vittime «palestinesi, israeliane e di tutte le guerre» potrebbe rappresentare un passo avanti, la retromarcia viene nuovamente inserita quando si fa riferimento alla «guerra criminale condotta dallo Stato di Israele nella Striscia di Gaza – a seguito del massacro del 7 ottobre perpetrato da Hamas – che sempre più voci concordano nel definire un genocidio», alla «decennale occupazione coloniale della Cisgiordania» e alla «persistente, sistematica e impunita violazione dei diritti umani perpetrata quotidianamente nei confronti del popolo palestinese».
Inutile dire che l’accusa di genocidio rivolta a Israele è tra le più gravi e controverse mai formulate contro uno Stato sovrano. Secondo la Convenzione ONU del 1948, il genocidio presuppone l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Tale definizione è opportunamente distinta persino da quella di crimini contro l’umanità o pulizia etnica, che non implicano necessariamente la volontà di annientamento totale. Di fatto Israele non sta perseguendo l’annientamento del popolo palestinese: la popolazione palestinese è in crescita, non in estinzione.
Quanto alla «decennale occupazione coloniale della Cisgiordania», tale definizione non regge né sul piano giuridico né su quello storico. Israele non ha conquistato un territorio esterno per sfruttarlo economicamente, né ha negato sovranità a uno Stato preesistente. Il doppio standard è poi evidente quando si fa riferimento alla «persistente, sistematica e impunita violazione dei diritti umani palestinesi», dimenticando che la prima vittima di violazione dei diritti umani è stato proprio Israele.
Non dovrebbe essere dimenticato che durante i principali colloqui di pace, i gruppi terroristici palestinesi hanno regolarmente intensificato le violenze: attentati suicidi durante gli Accordi di Oslo, attacchi armati dopo Camp David, razzi durante la Road Map, accoltellamenti e investimenti dal 2014 in poi. I lanci di razzi da Gaza contro obiettivi civili, comprese le scuole, sono vertiginosamente aumentati dopo il ritiro unilaterale del 2005 e lo smantellamento degli insediamenti ebraici. Molti bimbi israeliani hanno trascorso la loro infanzia a scappare nei rifugi. Che dire, poi, quanto a diritti umani, della sistematica presa di ostaggi? Pratica vietata anche dalla Quarta Convenzione di Ginevra!
La risposta di minoranza propone invece di aderire totalmente alle istanze del movimento BDS, evitando però di chiamarle col loro nome. Un elegante esercizio di eufemismo: «Se un gruppo di colleghe e colleghi si sente disturbato dalla presenza del prof. Storper, in un momento grave come quello attuale, riteniamo che il fatto stesso sia di per sé sufficiente».
Davvero un gruppo di studiosi si sente disturbato perché un collega, due anni fa, ha esercitato il suo diritto alla libertà di opinione? Inoltre, come previsto dall’appello al boicottaggio che la mozione di minoranza vorrebbe accogliere, la dott.ssa Nufar dovrebbe dichiararsi favorevole al «diritto al ritorno» dei rifugiati palestinesi.
Chiariamoci: quando si parla di rifugiati, il movimento BDS non limita tale diritto a coloro che furono sfollati nel 1948, ma lo estende ai loro discendenti — oggi quasi sei milioni. L’obiettivo? Trasformare Israele in uno Stato a maggioranza araba, rendendo gli ebrei una minoranza. Un progetto che, se realizzato, segnerebbe la fine della possibilità di autodeterminazione ebraica. Ma guai a chiamarlo negazione del diritto all’esistenza di Israele: per i BDS è solo una rivendicazione legittima.
D’altra parte, il gruppo Students for Justice in Palestine ha definito i massacri «un momento rivoluzionario» e ha dichiarato di sostenere «tutte le forme di resistenza» nei «territori palestinesi occupati più ampi» (cioè Israele), per una «Palestina libera, dal fiume al mare».
Il messaggio è chiaro: la liberazione coincide con l’espulsione degli ebrei e la dissoluzione dello Stato d’Israele. Sicuri che poi si addiverrà alla pace? Lo vediamo tutti i giorni: basta indossare una kippah per ricevere insulti o essere aggrediti. Non è necessario essere israeliani. Ora pare che non sia neppure più necessario essere ebrei: basta una firma contro il pensiero dominante per rischiare di essere zittiti.
Dal fiume al silenzio, la geografia del boicottaggio
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