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«Da dove viene il missile?»… e quel difetto della resilienza e della dignità del popolo d’Israele

Tiziana Levy

Tempo di Lettura: 3 min
«Da dove viene il missile?»… e quel difetto della resilienza e della dignità del popolo d’Israele

Un comico racconta che, quando c’è un allarme in Israele, la prima domanda che ci si pone è: «Da dove viene il missile?», prima ancora di verificare dove siano i bambini o gli anziani.

È proprio così. Anch’io, trovandomi spessissimo in Israele, posso confermarlo: è la prima domanda che ci poniamo. Ma molti amici mi dicono: «Voi non vi muovete da Israele, siete protetti…».

Sì, è vero: ci sono ospedali-bunker, si celebrano matrimoni e compleanni nei miklat, i colorati lombrichi dei parchi giochi di Sderot sono in realtà rifugi, ci sono mappe dei vari shelter. E, soprattutto, c’è solidarietà: in caso di sirena, ovunque ci si trovi, qualcuno è pronto ad accoglierti.

Bisognerebbe però chiedersi perché abbiamo dovuto diventare così preparati. Perché investiamo nell’Iron Dome. E soprattutto, perché continuiamo a vivere e a scherzare qualsiasi cosa accada.

Mi vengono in mente le immagini di una famiglia filmata dai terroristi il 7 ottobre. I genitori a terra. Una bambina bionda e il fratellino. La sorella diciottenne appena uccisa, nell’altra stanza. I volti di quei due bambini avevano un’espressione irriconoscibile, quasi astratta. Era una situazione che ancora oggi facciamo fatica a catalogare: un orrore nuovo, o comunque mai visto filmato.

Vorrei che le infinite foto di quel giorno potessero essere in prima pagina ogni giorno. Ma quando ne parlo, molti chiudono le orecchie: è troppo da sentire.

Ho conosciuto una mamma a Kfar Aza. Le avevano giustiziato la bellissima figlia, soldatessa di 18 anni. Era in congedo, dormiva nel suo letto.
Sua madre, Mira, ci ha accolto con dolcezza, insieme ad alcuni altri kibbutznik tornati da pochi giorni.

Ci hanno preparato un delizioso pranzo, abbiamo chiacchierato allegramente.

Mi ha mostrato le foto della figlia, sorridendo mi ha detto: «Era una studentessa, si era appena iscritta all’università. Il suo sogno era aprire un pet farm per i bambini del kibbutz».

Ho visitato Be’eri, Nir Oz, il Nova. Sono andata infinite volte alla Piazza degli Ostaggi, dove ho avuto l’opportunità di conoscere sopravvissute del Nova, ostaggi liberati come Yocheved Lifshitz, Moran Stella, le famiglie di Idan Stivi, Ohad Ben Ami, Bar Kuperstein e tanti altri.

Il fratello di Evyatar David organizza concerti ogni giovedì alla Piazza degli Ostaggi perché ama la musica.
Vendono libri di cucina con le ricette preferite degli ostaggi.
Il sabato sera, prima dell’inizio, fanno l’Havdalà – il rito di chiusura dello Shabat. Cantano. Pregano.

Ci sarebbero infinite cose da raccontare, foto da mostrare.
Ma queste persone, che io chiamo «extraterrestri», preferiscono raccontarsi così: con il bene, a tutti i costi.


«Da dove viene il missile?»… e quel difetto della resilienza e della dignità del popolo d’Israele
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