“La mia storia inizia davvero quando ho scelto la vita. In un dato momento della mia prigionia sono stato nella condizione di lasciarmi andare e ho scelto di non farlo”. Alon Ohel, rapito il 7 ottobre 2023 al Nova Festival, tenuto prigioniero dai terroristi di Hamas fino al 13 ottobre 2025, ne è convinto: “Per rimanere in vita ho dovuto fare una scelta consapevole. Ho parlato con mia madre tutta la notte. Dicevo ad alta voce: va tutto bene mamma, sono vivo! Sapevo che era quello che dovevo fare, parlare con mia madre, quindi forse mi avrebbe sentito, forse”.
In una lunga intervista alla tv israeliana Channel 12, Alon Ohel, 24 anni, ha condiviso il racconto straziante dell’inferno vissuto due anni come ostaggio nella Striscia di Gaza, gli abusi subiti e la battaglia interiore che lo ha aiutato a sopravvivere.
Del suo rapimento al Nova Festival Alon, in cui ha visto i suoi due amici uccisi dai terroristi, ricorda di essere stato gettato in un camioncino “come un sacco di patate” e trasportato a Gaza in pochi minuti attraverso il confine: “Mi hanno preso la vita in un istante. Ero un ragazzo di 22 anni, cosa sapevo della vita? In un solo secondo, mi hanno strappato dalla mia realtà e mi hanno messo all’inferno”.
Ferito a un occhio, in faccia e in varie parti del corpo, è stato portato insieme ad altri ostaggi in un ospedale tra le grida di una folla minacciosa. Quella notte gli è stato dato un sonnifero e si è svegliato la mattina dopo incapace di respirare a causa del dolore. In ospedale gli sono state ricucite le ferite senza anestesia e senza rimuovere le schegge conficcate nel suo corpo: “Sono rimasto lì per due settimane con persone che non avevo idea di chi fossero”. E nel ricordare quell’esperienza davanti alle telecamere, Alon ha iniziato a tremare in tutto il corpo.
Per i primi 52 giorni è stato tenuto fuori terra. Poi, dopo un cessate il fuoco di una settimana nel novembre 2023, è stato portato in tunnel sottoterra dove nelle prime settimane è stato tenuto in completo silenzio in fondo a un tunnel, legato, affamato e picchiato. Alon è stato tenuto con le gambe incatenate per un anno e mezzo: “Più volte ho creduto di morire. Non ero in prigione, ero in cattività, trattato come una scimmia. Mangerai come un cane, non sei una persona sei un animale, mi dicevano i miei carcerieri”.
Sottoterra è stato poi messo con altri tre ostaggi, Eli Sharabi, Hersh Goldberg-Polin, Almog Sarusi e Ori Danino e insieme hanno subito la tortura della privazione del cibo e ogni tipo di abuso: “Siamo stati intenzionalmente affamati. Ad un certo punto, tutto ciò che ci è stato permesso di mangiare erano datteri secchi. Eravamo come scheletri. Si divertivano a privarci di tutto: materassi, cuscini, coperte e vestiti, cibo. Noi ostaggi non sapevamo mai quando i rapitori avrebbero smesso di abusare di noi, di picchiarci. I terroristi sono dei pazzi. Se non sei forte mentalmente, puoi impazzire”. Un giorno, improvvisamente, Ohel e Sharabi furono separati dagli altri. Erano sicuri che questi ultimi tre fossero stati rilasciati, ma in realtà sono stati portati in un altro tunnel dove nell’agosto 2024 sono stati giustiziati dai terroristi.
Alon, rimasto con Eli Sharabi e altri due ostaggi Or Levy e Eliya Cohen. Alon ha raccontato che con Sharabi si è stabilito un legame profondo:” Siamo entrati in connessione fin dal primo momento che ci hanno messo insieme. C’è stato come un clic, non posso spiegarlo. Eli per me è diventata una figura paterna”. Sharabi, 53 anni, rapito il 7 ottobre dal kibbutz Be’eri sotto gli occhi terrorizzati della moglie e delle due figlie, ha passato 491 giorni nelle mani di Hamas. Quando è stato rilasciato ha scoperto la tragedia più grande: sua moglie Lianne e le loro due figlie, Noiya e Yahel, non c’erano più, assassinate il giorno stesso dell’attacco terroristico.
“Si dice che alla fine ci abitua alla fame, ma non è così. È un dolore che ti pervade tutto il corpo, in ogni momento, il desiderio di cibo ti uccide – ha detto Alon descrivendo scene di frustrazione e disperazione: “C’è stato un momento in cui mi sono sentito furioso per la mancanza di cibo e ho preso a pugni un muro fino quasi a rompermi la mano”. Sharabi era lì per confortarlo e abbracciarlo. “È stato un abbraccio di padre. Nei momenti di frustrazione mi teneva in braccio e mi sollevava, mi ha portato sulla schiena. Mi insegnava come mantenere la sanità mentale, dicendomi che va bene disperarsi, sentirsi a pezzi, piangere, ma senza perdere mai la speranza”.
Durante un bombardamento dell’Idf è stato centrato il tunnel dove erano detenuti. Ohel e gli altri si sono ritrovati a correre fuori terra attraverso le rovine. “È stato come nei film. Abbiamo sentito dei colpi di fucile e abbiamo continuato a correre fino a raggiungere un altro pozzo”. Quel nuovo tunnel aveva solo tre catene all’interno, e una di loro era usata per legare Ohel a Sharabi. “Andavamo in bagno insieme… Eravamo costretti a fare tutto insieme”.
Nel febbraio 2025 Alon è stato costretto a dire addio a Sharabi, Levy e Cohen, liberati grazie al secondo accordo di tregua: “Mi sono sentito in frantumi e terrorizzato di essere lasciato solo, anche se Sharabi aveva cercato di assicurarmi che sarebbe stata solo una questione di giorni anche per la mia liberazione”. Ma la tregua è durata solo per la prima fase di sei settimane e la guerra è ripresa a marzo.
Magri, pallidi, sofferenti, sguardo spento: la condanna internazionale che ha comportato la vista dei tre ostaggi visibilmente provati in mostra sul palco di Hamas, ha indotto i terroristi a dare più cibo ad Alon, ma è stato proprio durante quel periodo che i suoi rapitori hanno iniziato a molestarlo sessualmente: “Quando una volta mi è stato permesso di fare una doccia, uno dei rapitori ha insistito per strofinarmi lui stesso. Ho cercato di allontanarmi quando si trattava di lavare le parti intime, ma il rapitore ha continuato a insistere di farlo lui e, per fortuna, non è andato oltre”.
Alon Ohel, pianista affermato, ha raccontato di aver trovato nella musica un alleato fondamentale per sopravvivere e rimanere sano di mente. Cantava a sé stesso fino a quando i suoi rapitori gli dicevano di fermarsi. Quando ha detto loro che suonava il pianoforte, i combattenti di Hamas non sapevano quale fosse lo strumento. Alon ricorda di avergli fatto notare che, come musulmani religiosi, era stato impedito loro di ascoltare musica o ballare. A un certo punto i suoi rapitori hanno tirato fuori un Pc portatile e gli hanno mostrato un’immagine di un israeliano che partecipava a una protesta in Piazza degli Ostaggi di Tel Aviv: aveva un cartello con la foto di Alon, mentre si sentiva suonare un pianoforte in sottofondo: “Mi sono detto, ora non posso proprio arrendermi. Se persone che non conosco stanno scendendo in piazza con i cartelli con il mio nome, chi sono io per considerare di arrendermi anche solo per un momento? Non è possibile”.
Ohel è stato infine spostato in un tunnel diverso, che in seguito ha appreso essere nel nord di Gaza, poiché Hamas ha cercato di usarlo come scudo umano per ostacolare l’operazione dell’Idf di presa di Gaza City. Durante il trasferimento ha incontrato il collega ostaggio Guy Gilboa-Dalal. I due avevano servito in Marina insieme e si sono riconosciuti immediatamente. Hamas ha poi pubblicato i filmati dell’incontro in quella che è stata la prima clip, dalla data del suo rapimento, in cui si vedeva che Alon era vivo. Ai due è stato poi detto di scrivere lettere alle loro famiglie. “Per la mia famiglia, mamma, papà, Ronen e Inbar (i fratelli), mi mancate e vi voglio tanto bene. Sto bene. Sono vivo e respiro. Spero di rivedervi presto. Siete la forza che mi ha aiutato a continuare a sopravvivere qui, ciò che mi tiene vivo giorno dopo giorno in questo incubo senza fine. Sto pensando alle nostre vacanze insieme e a quelle che verranno” ha scritto Ohel.
In ottobre, Izz al-Din al-Haddad, nel frattempo diventato il leader militare di Hamas a Gaza dopo che tutti i suoi superiori erano stati uccisi in guerra, è apparso nel tunnel dove Alon era detenuto per informarlo che era stato raggiunto un altro accordo sugli ostaggi. Da lì, tutto è accaduto in fretta. È stato affidato alla Croce Rossa, che lo ha consegnato all’Idf: “Sono stato sopraffatto dal sentimento di gratitudine che sentivo per i soldati che avevano lasciato le loro famiglie, la loro vita, le loro case, per combattere per me”.
Dopo la sua liberazione, Alon ha visitato la Piazza degli Ostaggi dove ha suonato al pianoforte giallo che la sua famiglia aveva posto lì durante la sua prigionia. La canzone che Ohel ha suonato è stata “A Song With No Name”, quella che canticchiava a sé stesso regolarmente in cattività.
“Per due anni sono stata una persona morta”, ha detto a Channel 12. “Ho pregato che qualcuno mi salvasse, ma ho anche scoperto di essere forte, di poter fare qualsiasi cosa e di non essere una vittima”. Alon Ohel ha ancora una lunga strada da percorrere per riprendersi la vita, compresi interventi chirurgici alla spalla e all’occhio sinistro nel tentativo di recuperare la vista, ma si rifiuta di accettare che la sua terribile esperienza lo definisca: “Mi hanno preso tutto, tranne la mia capacità di scegliere chi sono. Andrò avanti. Conquisterò il mondo”.
A noi lettori, attoniti di fronte a tale drammatica testimonianza, rimane la certezza che leggendo il racconto di Alon siamo riusciti ad afferrare solo ciò che si può descrivere a parole di una esperienza così estrema e devastante. Le ferite inferte all’anima di questo giovane uomo da due anni di abusi, sofferenze fisiche, terrore, disperazione, umiliazioni, buio, stare sottoterra sepolti vivi, sentirsi in totale dominio della crudeltà, del fanatismo, dell’odio e della follia, rimangono inaccessibili alla comprensione di noi donne e uomini padroni della nostra vita quotidiana. Come ci dice lo stesso Alon “Chi non c’era non potrà capirlo. Voi non avete mai provato la fame, non siete mai stati incatenati per un anno e mezzo. Incatenati come una scimmia, che mangia come un cane. Lì, non siete più un essere umano, siete un animale”.
Cronache di sopravvivenza nei tunnel di Hamas
Cronache di sopravvivenza nei tunnel di Hamas

