Cosa succede quando il linguaggio della solidarietà viene usato come copertura per il finanziamento al terrorismo? È la domanda che attraversa l’Operazione Domino, una delle indagini più complesse concluse in Italia negli ultimi anni, che ha portato a 7 arresti e altri due indagati ancora latitanti, con l’accusa di aver raccolto e trasferito fondi nelle disponibilità di Hamas.
Al centro dell’inchiesta c’è Mohammad Mahmoud Ahmad Hannoun, 63 anni. Un nome che non compare per la prima volta nelle carte giudiziarie italiane e internazionali e che rappresenta il filo rosso di una storia lunga oltre vent’anni.
Già nei primi anni 2000, Hannoun era stato indagato dalla Procura di Genova per presunti legami con Hamas; un’inchiesta poi archiviata. Ma il suo profilo non è mai davvero uscito dai radar. Nel 2023, il suo nome e quello della sua associazione ABSPP sono stati inseriti nella black list del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti (OFAC). Nel novembre 2024, la Questura di Milano gli ha notificato un foglio di via per istigazione all’odio e alla violenza, dopo che aveva elogiato le aggressioni ai tifosi ad Amsterdam. Oggi, le intercettazioni raccolte dagli inquirenti indicano che un trasferimento verso la Turchia era considerato imminente, per continuare a gestire la rete da una posizione ritenuta strategica.
L’indagine ha ricostruito un network operativo ramificato sul territorio italiano, con ruoli definiti e una struttura tutt’altro che improvvisata.
A Milano operavano Ra’Ed Hussny Mousa Dawoud, Yaser Elasaly e il legale Khalil Abu Deiah, collegato alla realtà denominata La Cupola d’Oro.
In Toscana, il referente individuato dagli inquirenti era Raed Al Salahat, legato alla European Palestinians Conference.
Tra Genova e Sassuolo risultano coinvolti Osama Alisawi, indicato come ex Ministro dei Trasporti di Hamas a Gaza, e Adel Ibrahim Salameh Abu Rawwa.
Accanto alla dimensione organizzativa e logistica, l’inchiesta documenta collegamenti diretti con l’apparato militare. Jaber Abdelrahim Riyad Albustanji risulta associato alle Brigate Al Qassam, mentre Mohammed Ismail Saleh Abdu avrebbe avuto il compito di curare i trasferimenti di denaro dalla Turchia. Un elemento che chiarisce la destinazione finale dei flussi finanziari e smonta la narrazione esclusivamente umanitaria usata come schermo.
Il dato forse più rilevante dell’Operazione Domino riguarda il funzionamento del sistema di controllo. L’indagine è partita dalle SOS, le Segnalazioni di Operazioni Sospette del sistema antiriciclaggio italiano. Movimenti di denaro ufficialmente destinati a scopi umanitari nascondevano in realtà flussi transnazionali tra Italia, Olanda, Austria, Francia e Regno Unito. Grazie a questo monitoraggio, le autorità sono riuscite a sequestrare oltre 8 milioni di euro.
In Italia il “follow the money”, metodo di indagine che nel mondo anglosassone segna il tratto di qualità del giornalismo, non ha mai fatto presa. Il pubblico si è abituato a leggere le notizie con lenti partigiane, ideologiche. E per somma sciatteria, i professionisti dell’informazione si sono abituati a nutrire i lettori con quel che vogliono.
Questa Operazione Domino però, come dice il nome, non si fermerà ed è destinata a portare a nuovi sviluppi. Ma merita una riflessione: perché è un caso che supera la dimensione giudiziaria e diventa politico e sistemico. L’Operazione Domino dimostra che compliance e antiriciclaggio non sono burocrazia, ma l’unico argine reale contro la manipolazione del settore non profit. Senza controlli stringenti, la beneficenza rischia di trasformarsi in un canale privilegiato per il finanziamento del terrorismo, protetto da una retorica che rende ogni verifica sospetta o moralmente inaccettabile.
L’operazione di Genova mostra anche un altro dato strutturale: questi arresti rappresentano solo la punta dell’iceberg. Fonti pubbliche indicano che attività simili, attraverso organizzazioni non profit opache e raccolte fondi legate ad Hamas, esistono anche in altri Paesi europei. Il fenomeno non è locale, ma continentale, e richiede maggiore cooperazione internazionale per essere contrastato in modo efficace.
La domanda finale resta aperta: come garantire che gli aiuti arrivino davvero a chi soffre, proteggendo il mondo della beneficenza da infiltrazioni che lo trasformano in un’infrastruttura finanziaria del terrorismo? L’Operazione Domino suggerisce una risposta chiara, anche se politicamente scomoda: senza trasparenza, senza controlli e senza una cultura della compliance, la solidarietà rischia di diventare il miglior alleato di chi odia gli ebrei e usa la carità come copertura.
Così la solidarietà sbagliata finanzia il terrorismo
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