L’attacco dell’aviazione israeliana del 9 settembre contro i leader di Hamas a Doha potrebbe ridisegnare i precari equilibri del Golfo, segnando un radicale ridimensionamento del ruolo del Qatar. Per anni l’emirato ha giocato sulla propria “ambiguità strategica”: da un lato principale sostenitore e finanziatore di Hamas e della Fratellanza Musulmana, dall’altro Paese ospitante la grande base militare statunitense di Al Udeid.
Oggi quella doppiezza non è più tollerata, soprattutto dai Paesi arabi moderati del Golfo. Emirati Arabi Uniti e Bahrein – firmatari degli Accordi di Abramo – e l’Arabia Saudita di Mohammed bin Salman, impegnata a costruire un Medio Oriente pacificato per rilanciare la leadership regionale del Regno, hanno chiesto chiarezza. Non a caso Riad ha autorizzato il sorvolo del proprio spazio aereo agli aerei israeliani diretti a colpire gli uffici di Hamas a Doha e spinge in ogni modo per una rapida conclusione del conflitto a Gaza.
Per Arabia Saudita ed Emirati, la fine della guerra passa per tre condizioni: liberazione di tutti gli ostaggi, vivi e morti; resa di Hamas; sua completa esclusione dalla futura gestione della Striscia. Solo allora sarebbe possibile un eventuale dispiegamento di forze saudite ed emiratine nella fase post-bellica, impensabile in presenza delle milizie islamiste.
Chi scommette sul rilancio degli Accordi di Abramo e su una nuova stagione di pace e sviluppo vuole fare presto. Ma il protrarsi del conflitto, l’aumento delle vittime civili e il crescente isolamento internazionale di Israele rischiano di compromettere i progetti dei moderati. E non aiutano certo i Paesi che continuano a sostenere le organizzazioni terroristiche in Medio Oriente.
In questo quadro, il Qatar è osservato con crescente sospetto. Per oltre vent’anni, insieme all’Iran, ha alimentato, finanziato e armato Hamas. Non va dimenticato che tra il 2017 e il 2021 Arabia Saudita, Emirati, Bahrein ed Egitto interruppero le relazioni diplomatiche con Doha imponendo un embargo terrestre, marittimo e aereo. Già allora l’accusa era la stessa: gli enormi finanziamenti dell’emiro Hamad Al-Thani alla galassia della Fratellanza Musulmana, che destabilizzavano la regione e favorivano i proxy iraniani – Hamas, Hezbollah e Houthi.
Oggi, con Hamas che non solo ha respinto ogni tentativo di mediazione ma ha ripreso la stagione degli attentati – come il sanguinoso attacco alla fermata di un autobus a Gerusalemme, costato la vita a sei civili – cresce l’inquietudine condivisa da Israele e dalle monarchie del Golfo. Una preoccupazione che potrebbe accelerare il ridisegno degli equilibri mediorientali e mettere definitivamente fine all’“ambiguità” del Qatar.
Con l’attacco israeliano in Qatar cambiano gli equilibri del Golfo
Con l’attacco israeliano in Qatar cambiano gli equilibri del Golfo
Con l’attacco israeliano in Qatar cambiano gli equilibri del Golfo