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Chi ricorda Salman Rushdie? «Chi difende Hamas vuole il fascismo»

Rushdie pubblica un nuovo libro a quasi ottant’anni e denuncia la deriva dei progressisti: in nome di un falso antifascismo, finiscono per sostenere un regime islamista e illiberale.

Nicoletta Ferragni

Tempo di Lettura: 4 min
Chi ricorda Salman Rushdie? «Chi difende Hamas vuole il fascismo»

Ve lo ricordate, Salman Rushdie? Quando è stata l’ultima volta che lo avete letto? Uno degli scrittori più celebri, premiati e tradotti al mondo, Salman Rushdie, sembra oggi finito ai margini del dibattito culturale. In Italia non lo invita nessuno, non appare nei festival culturali, è assente dai talk show ed è ignorato dalla grande stampa, che non lo intervista da anni. In Francia, il silenzio assordante è stato rotto solo di recente: durante la cerimonia dei César, l’attrice Isabelle Adjani ha scelto di ricordarlo pubblicamente.

Dopo la fatwa lanciata dall’Iran nel 1989 contro lo scrittore britannico per i Versetti satanici, Adjani espresse allora il suo sostegno a Rushdie. Fu tra le pochissime figure del cinema francese a farlo. La condanna a morte pronunciata dall’ayatollah Khomeini fu un fulmine a ciel sereno: il romanzo era stato bollato come blasfemo, e il suo autore condannato all’assassinio. L’attrice, che da tempo discuteva del caso con il filosofo André Glucksmann, non si stupì di quella minaccia. I due pensarono perfino a un libro a quattro mani, mai realizzato, che avrebbe unito riflessioni e dialoghi. Intanto Rushdie fu costretto a vivere sotto scorta, tra sequestri di copie bruciate in Gran Bretagna e proteste in Pakistan e a Londra.

Oggi, vicino agli ottant’anni, Rushdie ha annunciato l’uscita di un nuovo libro di narrativa: The Eleventh Hour: A Quintet of Stories, in libreria a novembre. È la sua prima opera dopo l’attentato del 2022 a New York, quando fu accoltellato durante una conferenza. Una notizia splendida, che ci si augura preluda a molti altri lavori. Tanto da costringere Silvia Albertazzi, docente a Bologna, ad aggiornare e ampliare il suo prezioso saggio Leggere Salman Rushdie (Carocci editore). Un breviario che racconta l’opera di un autore di emozioni forti, idee brillanti, storie globali e multiformi.

Rushdie appartiene alla categoria rara di quelli che in inglese si definiscono «adulti nella stanza». Mentre per mesi università, giornali, televisioni, intellettuali, corti internazionali e l’Onu hanno additato Israele come il responsabile di ogni male in Medio Oriente – se non del mondo intero – la sua voce si è alzata per ricordare che il vero problema si chiama Hamas. E che i cosiddetti “progressisti” dovrebbero pensarci bene prima di trovare giustificazioni a un movimento che li manderebbe davanti a un plotone di esecuzione prima ancora che finissero di cantilenare «Palestina libera».

In un’intervista alla Bild, Rushdie ha puntato il dito contro i «giovani progressisti» il cui odio per Israele confina con la simpatia per Hamas. «Non c’è molta riflessione profonda da fare», ha detto sconsolato. È «assolutamente giusto» che le persone siano «angosciate da ciò che accade a Gaza» viste «le tante vittime». Tuttavia, ha aggiunto: «Vorrei solo che alcuni manifestanti menzionassero Hamas, perché è da lì che è cominciato tutto».

Rushdie accusa direttamente la sinistra progressista occidentale di non prendere mai le distanze da Hamas, che definisce senza esitazioni «un’organizzazione terroristica». «È molto strano che studenti e attivisti progressisti sostengano un gruppo fascista». E aggiunge: «Queste sono le stesse persone che vedono gli anni Trenta ovunque – Brexit, Trump, le critiche femministe sul genere – eppure, di fronte a un pogrom che davvero ricordava gli anni Trenta, hanno detto: ‘Cosa ti aspettavi?’».

E non risparmia la parola d’ordine dei nostri tempi, «Palestina libera dal fiume al mare». Rushdie afferma di sostenere la nascita di uno Stato palestinese, ma chiede: «Come sarebbe una Palestina libera oggi? Se esistesse ora, sarebbe governata da Hamas e diventerebbe un regime simile ai talebani, un satellite dell’Iran. È questo che i progressisti della sinistra occidentale desiderano creare?».

Con un occhio perso e il volto segnato dalle ferite dell’attentato, Rushdie continua a vedere più lucidamente di tanti suoi colleghi. Non è la prima volta. Dopo il massacro di Charlie Hebdo, mentre altri invocavano rispetto e inclusione, lui denunciava il «totalitarismo religioso». Di fronte alla cancel culture, ha avvertito che «la libertà è ovunque sotto attacco», perché «l’idea che la sensibilità dei gruppi percepiti come vulnerabili debba prevalere sulla libertà di parola» è un principio illiberale e pericoloso.

Oggi Rushdie ci dice che Hamas è un flagello e che una Palestina governata da Hamas sarebbe un disastro. Sarebbe saggio ascoltarlo. Ma noi preferiamo pensare che non ci riguardi, come se non fossimo accanto a Israele, come se non ci avessero già feriti Charlie Hebdo e Bataclan. «Se la sono cercata», avrebbe detto Guterres.

Forse dovremmo invece tornare a leggere Rushdie, magari proprio ora, in questi giorni d’agosto.


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