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Cdec. Antisemitismo 2025: numeri fuori scala, odio normalizzato, Italia più fragile

Daniele Scalise

Tempo di Lettura: 5 min
Cdec. Antisemitismo 2025: numeri fuori scala, odio normalizzato, Italia più fragile

La nuova relazione dell’Osservatorio antisemitismo della Fondazione CDEC sui primi nove mesi del 2025 non fotografa solo un aumento quantitativo. Racconta un salto di clima: più episodi, maggiore gravità, più esposizione pubblica dell’odio, maggiore accettazione sociale. Tra gennaio e settembre sono stati catalogati 766 episodi di antisemitismo, 82 in più rispetto allo stesso periodo del 2024. E dentro questi numeri c’è una tendenza che pesa come un macigno: l’antisemitismo non resta più confinato nelle bolle online, ma scorre con continuità nel mondo reale, tocca scuole, uffici, trasporti, spazi di socialità.

Il rapporto è chiaro anche sul metodo. Le segnalazioni arrivano via modulo, telefono, WhatsApp ed email. Tra luglio e settembre 2025 ne sono giunte 425 e, dopo verifica, 299 sono state registrate come episodi di antisemitismo; le altre sono risultate non pertinenti o già conteggiate. Il documento ricorda inoltre che i casi sul web conteggiati come episodi sono solo quelli segnalati dagli utenti: parallelamente l’Osservatorio monitora direttamente la rete e, nel periodo gennaio-settembre, dichiara di aver analizzato 10.818 contenuti.

La distribuzione è netta: 510 episodi riguardano Internet, 238 sono avvenuti materialmente, 18 si sono manifestati sia online sia offline. Ma la distinzione non va letta come una consolazione. Il rapporto insiste sul fatto che la violenza verbale e simbolica crea condizioni, legittima comportamenti, abbassa la soglia del ripudio sociale. E infatti la relazione registra una progressione che preoccupa: le aggressioni fisiche sono 11 nei primi nove mesi del 2025, un livello mai raggiunto prima nello stesso arco temporale. A fianco, l’area delle minacce e delle intimidazioni resta centrale. Il linguaggio descritto è sempre più plateale, protervo, esplicito: riferimenti alla Shoah, inviti alla violenza, contumelie rivolte a famiglie e singole persone, con episodi che arrivano a costringere le vittime a scendere dai mezzi pubblici o a subire pressioni e ostracismi in ambienti di lavoro e di studio.

La tipologia degli atti chiarisce ulteriormente il quadro. Il grosso è rappresentato da diffamazione e insulti: 543 episodi, di cui 478 online. Seguono le minacce alle persone, 74 casi, 45 dei quali online. Poi le discriminazioni, 53 episodi quasi tutti offline, i graffiti e la grafica ostile, 75 casi, i vandalismi, 8, e infine le aggressioni fisiche, 11. È un repertorio che va dalla frase digitata alla tastiera al segno sul muro, fino al corpo colpito. La relazione utilizza una scala di gravità da 1 a 5 e segnala che nei nove mesi non si registrano casi di livello 5, cioè di violenza estrema, ma aumentano gli atti che scivolano verso i livelli 3 e 4: minacce dirette, vandalismi contro proprietà ebraiche o percepite come tali, aggressioni.

C’è poi un dato che, più dei numeri assoluti, indica la direzione. La matrice ideologica predominante, dal 7 ottobre 2023 in poi, è l’antisemitismo legato a Israele. Nel periodo considerato gli episodi classificati in quest’area sono 390. Segue una categoria ampia, definita come odio non chiaramente etichettabile o con molteplici sfumature ideologiche, 153 casi: un impasto di antigiudaismo, cospirazionismo e antisemitismo ibrido tipico della rete. Poi compaiono neonazismo e neofascismo con 25 episodi, antigiudaismo con 13, potere ebraico e cospirativismo con 11. In altre parole, l’odio classico non sparisce, ma il traino è il cortocircuito contemporaneo che usa Israele come grimaldello e il termine sionista come etichetta elastica per riciclare stereotipi antiebraici antichi — complotti, dominio, disumanizzazione — in un linguaggio che pretende di essere politico e finisce per colpire persone reali, riconoscibili, in carne e ossa.

Il rapporto entra anche nel tema della vittimizzazione. In 597 episodi sono coinvolti ebrei o enti ebraici indefiniti, colpiti come categoria attraverso pregiudizi e generalizzazioni. In 169 casi le vittime sono individui o istituzioni specifiche, spesso note, ma con un elemento nuovo: non si tratta più solo di figure pubbliche o comunità organizzate. Sono studenti, lavoratori del settore pubblico, famiglie, pensionati, turisti. È ciò che la relazione definisce antisemitismo popolare: quello che non ha bisogno di una dottrina coerente, perché gli basta un clima.

Anche la geografia e le piattaforme aiutano a leggere il fenomeno. Su 766 episodi, in 232 casi è stato possibile localizzare la città. Sul fronte social, Facebook risulta la piattaforma più coinvolta con 277 episodi, seguita da X/Twitter con 75, Instagram con 54, TikTok con 48, YouTube con 10. Il resto è distribuito tra siti, riviste online, email, Telegram e canali non identificati, per un totale di 46 casi. Non è solo una questione di dove circola l’odio, ma di come circola: il rapporto descrive dinamiche virali, shitstorm, gruppi coordinati che spingono metafore estreme e distorsioni storiche, contribuendo a spostare sempre più avanti il confine del dicibile.

La conclusione, detta in modo brutale, è questa: il 2025 non è un anno di episodi isolati. È un anno di consolidamento. L’antisemitismo si integra nel paesaggio, trova complicità passive, indifferenza e, in alcuni ambienti, perfino un prestigio morale mascherato da militanza. E quando un odio diventa socialmente tollerabile, non è più un problema degli ebrei. Diventa una misura di quanto una società sia disposta a farsi intimidire e a mentire a se stessa. Non serve attendere il livello 5 per rendersene conto. I segnali sono già qui, tutti.


Cdec. Antisemitismo 2025: numeri fuori scala, odio normalizzato, Italia più fragile
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