È conosciuta come “Capitan Ella” ed è la nuova portavoce in arabo dell’esercito israeliano. Ella Waweya è la prima donna musulmana araba a ricoprire un ruolo di tale rilievo nelle Forze di Difesa Israeliane, e il suo volto è già familiare a chi segue i canali dell’IDF in lingua araba: video didattici, spiegazioni sugli eventi di guerra, aggiornamenti ufficiali. In uniforme, davanti alla bandiera d’Israele, parla un arabo chiaro e autorevole. È lei ora a guidare la comunicazione dell’IDF verso il mondo arabo, un compito che fino a oggi era stato prerogativa del tenente colonnello Avichai Adraee.
Nata nel 1989 a Qalansuwa, cittadina araba musulmana vicino a Netanya, è cresciuta in una famiglia tradizionale, dove l’idea di servire nell’esercito israeliano non era contemplata. Eppure, a sedici anni, dopo aver ottenuto la carta d’identità israeliana, decide che la cittadinanza deve tradursi in impegno. Comincia come volontaria, poi sceglie di arruolarsi. Un gesto che, nella società araba israeliana, resta raro e spesso controverso.
All’interno delle forze armate, Ella si distingue presto per disciplina e capacità comunicativa. Entra nel settore media, partecipa a un corso ufficiali, riceve premi al merito e nel tempo diventa un volto pubblico dell’IDF. Nel 2021 è promossa maggiore — la prima donna musulmana araba a raggiungere quel grado. Da allora, la sua figura si trasforma in una delle immagini simboliche della nuova comunicazione israeliana: giovane, araba, professionale, patriottica.
La scelta del nome “Capitan Ella” è tutt’altro che casuale. Semplice, diretto, riconoscibile anche al pubblico arabo, sintetizza la sua missione: portare la voce dell’esercito israeliano in una lingua e con un volto che rompano gli schemi. I suoi video, pubblicati dal 2019, hanno l’obiettivo di spiegare la posizione d’Israele e smontare le campagne di disinformazione nel mondo arabo. Ma più di ogni parola, è la sua presenza stessa a veicolare un messaggio: in Israele, un’araba musulmana può essere ufficiale, può servire, può rappresentare lo Stato (sì, proprio quello che qualcuno definisce “Stato dell’apartheid”, signora Albanese).
Il percorso di Ella non è stato facile. Quando decise di arruolarsi, tenne la cosa segreta alla famiglia per quasi due anni. Sapeva che la notizia avrebbe provocato shock, forse rottura. E così fu: quando la sua partecipazione all’IDF divenne pubblica, il rapporto con i familiari si incrinò. Solo col tempo, e dopo molti successi, la madre ha cominciato a sostenerla apertamente. Oggi la sua comunità la guarda con un misto di orgoglio e diffidenza, divisa tra chi la considera un esempio di integrazione e chi la accusa di aver “tradito” le proprie radici.
Nelle interviste, Ella parla con serenità di questa doppia appartenenza. Non rinnega la propria fede né le origini, ma rivendica con forza la propria israelianità. «Sono musulmana, sono araba, sono israeliana — e non devo scegliere tra queste identità». È proprio questa affermazione a farne una figura simbolica in un momento in cui Israele cerca di mostrare un volto più complesso, meno monolitico, anche verso i vicini arabi.
Nel suo lavoro quotidiano, Ella supervisiona la produzione di contenuti destinati ai media arabi: comunicati, video, brevi spiegazioni di eventi militari, traduzioni di dichiarazioni ufficiali. Lo fa con un linguaggio misurato, privo di toni propagandistici, attento alla credibilità. Dietro ogni messaggio, tuttavia, c’è una strategia: cambiare la percezione di Israele nel mondo arabo, ma anche trasmettere agli arabi israeliani un senso di appartenenza possibile.
La sua figura rappresenta, allo stesso tempo, una rivoluzione e un paradosso. In un esercito percepito come simbolo del potere ebraico, una donna musulmana diventa la voce ufficiale in arabo. Per alcuni, è la prova che l’integrazione non è un’illusione; per altri, è solo una vetrina utile a Israele per mostrarsi aperto. Ma Ella Waweya non sembra preoccuparsene. A chi la critica, risponde con calma: «Io sono dove voglio essere. Nessuno mi ha costretta».
La sua storia va oltre il singolo incarico. È il segnale di un cambiamento lento ma reale, che attraversa Israele dall’interno. Per la prima volta, una giovane musulmana non parla solo dentro l’esercito, ma per l’esercito, in una lingua che per decenni è stata quella del nemico. Una lingua che, nelle sue mani, diventa strumento di dialogo e di sfida.
Capitan Ella, la voce araba dell’IDF
Capitan Ella, la voce araba dell’IDF

