Home > Approfondimenti > Ca’ Foscari squadrista, vergogna: contro Fiano una cacciata razziale. E ora identificate, denunciate, indagate

Ca’ Foscari squadrista, vergogna: contro Fiano una cacciata razziale. E ora identificate, denunciate, indagate

Aldo Torchiaro

Tempo di Lettura: 6 min
Ca’ Foscari squadrista, vergogna: contro Fiano una cacciata razziale. E ora identificate, denunciate, indagate

Venezia, Ca’ Foscari. In un’aula che dovrebbe essere casa del pensiero è andata in scena la sua caricatura: non un dibattito, non una contestazione, ma una cacciata. Emanuele Fiano, presidente di “Sinistra per Israele – Due Popoli Due Stati”, invitato a dialogare con Antonio Calò, doveva parlare di pace e convivenza. Ha trovato invece il coro: «Fuori i sionisti dall’Università».

Le parole contano. Non dissenso, ma accerchiamento. Non grammatica della democrazia, ma squadrismo: soppressione della parola come atto politico. Non è un incidente: è un sintomo di malattia civile.

I fatti sono semplici. Un gruppo di studenti ha impedito a Fiano di parlare. L’evento è stato interrotto tra urla e intimidazioni. Fiano ha ricordato: «Impedire a una persona di parlare è fascismo», evocando il 1938, quando un Fiano fu cacciato dagli studi. È la misura del baratro morale in cui si cade quando un ateneo diventa arena d’odio.

Le reazioni sono arrivate. Ignazio La Russa ha espresso solidarietà richiamando al rigore delle parole; Carlo Calenda ha parlato di prevaricazione inaccettabile; Matteo Renzi ha ricordato Nedo Fiano: «Impedire a un nostro concittadino ebreo di parlare in una università mi fa orrore e mi ripugna», aggiungendo l’ovvio: chi ama davvero la causa palestinese condanna Hamas, non la libertà di parola. Victor Fadlun, Comunità ebraica di Roma, ha definito l’episodio per ciò che è: intolleranza antisemita travestita da antisionismo.

C’è una notizia nella notizia. Elly Schlein ha espresso solidarietà oltre quattro ore dopo i fatti, quando gran parte del suo gruppo l’aveva già fatto. Non poteva più tacere. Arrivare per ultimi è eloquente. Il silenzio – e la sua durata – costruisce senso e gerarchie di valori.

A chi minimizza con «sono ragazzi» va risposto: no. Qui non c’è stato lo scontro di idee, ma un assedio alla libertà accademica. L’università è il luogo dove si impara a stare accanto all’argomento dell’altro; la verità si cerca parlando e ascoltando, non serrando le file. Impedire a un invitato di intervenire, per di più su pace e diritti, viola l’essenza stessa dell’istituzione.

La democrazia liberale pretende la contestazione, ma entro tre limiti: non violenza, non intimidazione, non censura. A Ca’ Foscari tutte e tre le soglie sono state superate. Chiamare «militanza» ciò che è censura e «attivismo» ciò che è violenza politica è rovesciare il tavolo semantico.

Ora servono atti. Primo: identificazione e denuncia dei responsabili. L’ateneo consegni i filmati, si raccolgano testimonianze, si istruiscano rapidamente i fascicoli. Il nostro ordinamento non punisce opinioni, ma punisce violenza, istigazione all’odio razziale, minaccia, interruzione di pubblico servizio. Non sono categorie astratte.

È bene ripeterlo: «Fuori i sionisti dall’Università» non è un motto neutro. È un’etichetta escludente e discriminatoria che colpisce una categoria identitaria – di fatto gli ebrei – e legittima l’idea che alcuni non abbiano diritto di stare in aula per ciò che sono. Non è un confine politico: è un confine razziale. E quando diventa azione – impedire, accerchiare, zittire – si passa all’atto coercitivo.

Secondo: procedimenti disciplinari. L’università non è una zona franca. Ha regole e organi disciplinari. Chi trasforma l’aula in un’agorà di intimidazione ne risponda: sospensioni immediate, fino alla espulsione nei casi più gravi. Non per vendetta, ma per tutelare la comunità. Rettore e Senato accademico diano un segnale chiaro e rapido.

Terzo: il Ministro dell’Università convochi l’ateneo; il Ministro dell’Interno garantisca che in università si possano tenere eventi senza l’incubo del raid organizzato. Non si tratta di militarizzare i campus, ma di assicurare ordine pubblico e libertà civili.

Serve poi un’indagine vera e profonda su reti, sigle, finanziamenti ed eventuali legami con Hamas e con l’estremismo travestito da antisionismo. Non è allarmismo: è la fisiologia delle reti militanti. In Europa si sono viste micro-sigle “studentesche” alimentate da apparati che orbitano intorno a organizzazioni terroristiche o ai loro fronti culturali. Hamas non è un “partito duro”: è un’organizzazione che pratica sterminio di civili, tortura, stupro, sequestro, scudi umani. Con il terrorismo non si scherza. Non si sottovaluta. Mai.

Questo non significa criminalizzare il dissenso, ma separarlo dalla collusione. Un ateneo deve distinguere una protesta, anche dura, da un dispositivo di intimidazione organizzata che prende in ostaggio gli spazi pubblici. Se convergono sigle, canali, fondi, logistiche a istigare la soppressione di un evento, non è “spontaneismo”: è materia da indagine e sanzione.

La frase di Fiano – «Impedire a una persona di parlare è fascismo» – va presa alla lettera. Non perché ogni intemperanza sia Ventennio, ma perché quando sdogani l’idea che alcuni non possano parlare, hai già varcato la frontiera tra democrazia e prevaricazione.

Ca’ Foscari deve parlare subito. Riconoscere il vulnus, presentare denuncia, aprire inchieste interne, assumere provvedimenti. Dire agli studenti che libertà e regola stanno insieme: nessuna identità autorizza a zittire l’altro, nessuna causa giusta legittima il ricatto dell’intimidazione. E garantire che l’evento si tenga: Fiano deve tornare a parlare in sicurezza. Messaggio ai sopraffattori: non decidete voi chi parla. È la cartina di tornasole della credibilità dell’ateneo.

La politica ha un dovere: essere granito sulla libertà di parola. Niente libertà “amica” o “nemica”. Chi zittisce, perde. Per questo pesa il ritardo di Schlein: non perché quattro ore cambino la sostanza, ma perché segnalano che ci si può esitare su un principio non negoziabile. Arrivare per ultimi è eloquente.

Oggi hanno zittito Emanuele Fiano. Domani, chi? La libertà si difende quando costa, non quando conviene. E oggi costa dire che a Ca’ Foscari si è consumato un abuso; che occorre identificare, denunciare, sanzionare; che serve un’indagine su reti e sigle, su eventuali legami con Hamas. Con il terrorismo non si gioca: si isola, si persegue, si combatte con lo Stato di diritto.

Tre verbi, pietre d’angolo: identificare, denunciare, indagare. Perché la libertà abbia spalle istituzionali e non resti una parola da brochure. Qui difendiamo la cosa più semplice e difficile: il diritto di parlare. La civiltà comincia qui. E finisce quando scambiamo un coro per un’idea e un’intimidazione per politica. Non passerà. Ca’ Foscari lo dimostri adesso. Perché se oggi si zittisce Fiano, domani si zittisce la democrazia.


Ca’ Foscari squadrista, vergogna: contro Fiano una cacciata razziale. E ora identificate, denunciate, indagate
Ca’ Foscari squadrista, vergogna: contro Fiano una cacciata razziale. E ora identificate, denunciate, indagate