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Bologna, la resa ai violenti e le ipocrisie della sinistra

a cura di Giuliano Cazzola

Tempo di Lettura: 4 min
Bologna, la resa ai violenti e le ipocrisie della sinistra

In gergo si dice faccia da c..o di chi ha la pretesa di stravolgere la realtà. E a Bologna, dopo la guerriglia di venerdì 21, di quelle facce se ne sono viste parecchie. A partire dal sindaco Matteo Lepore, colui che avrebbe voluto compiere «per viltade, il gran rifiuto», ovvero spostare ad altra data e in altro luogo la partita di basket prevista al PalaDozza tra la Virtus e il Maccabi Tel Aviv, per evitare che la manifestazione convocata contro l’evento sportivo degenerasse nella violenza e nelle devastazioni nel centro della città, come ormai è abitudine dei gruppi pro-Pal, che non trovano metodi più efficaci per esprimere la loro vicinanza ad Hamas.

Commentando la «notte dei cristalli» bolognese, il sindaco ha accusato il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi di una gestione dell’ordine pubblico «sconsiderata» da parte del Viminale, ricordando di aver chiesto nei giorni precedenti di usare la testa e non i muscoli. A suo avviso, Bologna sarebbe finita «in mezzo a uno scontro muscolare, testosteronico, tra un gruppo di estremisti e il ministero dell’Interno».

È un azzardo quanto meno spregiudicato rinverdire in questa occasione la teoria degli opposti estremismi, mettendo sullo stesso piano un ministro della Repubblica e un gruppo di criminali recidivi (nel tentativo di assalto alla stazione di Bologna per solidarietà con la «flottiglia» alle prese con i servizi speciali israeliani); ovvero un difensore della legalità e degli incappucciati che, come i militanti del Ku Klux Klan, pianificano azioni di guerriglia urbana strumentalizzando un evento sportivo.

Nel nostro Paese – dove, a quanto si dice, è in atto un’involuzione autoritaria – è consentito manifestare le proprie idee, qualunque esse siano; si consegnano titoli onorifici a persone come Francesca Albanese; ci si volta dall’altra parte quando si tratta dell’aggressione all’Ucraina, mentre università e istituzioni sono libere di tagliare i rapporti con Israele come se si trattasse di un regime totalitario e non di un Paese democratico e pluralista. Addirittura, persino Sigfrido Ranucci continua a svolgere le sue inchieste diffamatorie senza essere stato colpito da nessun «editto bulgaro».

Ma dove sta scritto che nel diritto di manifestare sia incluso un corollario che consente di attaccare le forze dell’ordine che difendono i cittadini e gli impianti pubblici? Certamente sia Lepore sia altri esponenti del Pd hanno condannato le violenze, pur attribuendone una parte notevole di responsabilità al governo e a Piantedosi (al quale vogliono inviare la fattura dei centomila euro di danni). Ma è proprio il considerare quasi «normale» questa dinamica – al punto da subirne le conseguenze con il rinvio della partita – che finisce per incoraggiare l’azione dei violenti, tanto più che viene criticata più l’azione delle forze dell’ordine che la guerriglia urbana (che ha prodotto un discreto numero di feriti, ai quali dovrebbe andare un gesto di solidarietà del Capo dello Stato; magari attraverso una telefonata, resa pubblica, a Piantedosi, come avvenne – con altri toni – dopo gli incidenti di Pisa e Firenze nei mesi scorsi).

Le cronache politiche raccontano che nel Pd è in atto un’autocritica sulla questione della sicurezza, che non può essere regalata alla destra trattandosi di un problema reale per i cittadini. Bisogna però rendersi conto che non si lavora per la sicurezza scappando davanti ai violenti, invitando i cittadini a chiudersi in casa per sfuggire alla diffusa microcriminalità urbana o prevenendo la violenza politica accogliendone preventivamente le pretese.

Non vogliono che gli israeliani giochino una partita di basket con una squadra blasonata italiana perché – come è stato affermato – le squadre sportive israeliane non dovrebbero gareggiare, in quanto usate per ripulire l’immagine di Israele? Si può anche riconoscere legittimità a questa opinione perversa, ma non il diritto di imporla con la forza.

Va da sé che, in questa vicenda, stiamo con Matteo Piantedosi.


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