Con la firma a Sharm el-Sheikh, il Piano di pace per Gaza è diventato realtà.
Gli ostaggi sono tornati a casa. Israele ha cessato il fuoco e ritirato le truppe. I Paesi arabi — anche i più ostili — insieme a gran parte delle cancellerie mondiali, all’Unione Europea e all’ONU, hanno espresso massimo sostegno al percorso avviato. Sono giorni che entreranno nei libri di storia.
In questo contesto, le amministrazioni che avevano promosso boicottaggi contro Israele (Regioni, Comuni, Università) sono chiamate a una scelta: sostenere il percorso di pace oppure porsi ai margini, allineandosi alla linea di Francesca Albanese e di quanti definiscono il Piano uno strumento «neocoloniale» e ne sperano il fallimento.
La Regione Puglia si è già mossa in senso opposto alla distensione. Il Consiglio regionale, il 10 ottobre, pur esprimendo una tiepida soddisfazione per il Piano, lo ha definito insufficiente. Ne è seguita non solo la conferma delle misure di boicottaggio già approvate, ma addirittura l’adozione di iniziative più aggressive, come campagne informative rivolte ai cittadini per boicottare il “Made in Israel”. Dal «boycott Israel» al «boycott Peace» il passo è stato breve: una scelta che dovrebbe indurre chi l’ha votata a riflettere sulle conseguenze.
Il successo del vertice di Sharm el-Sheikh chiarisce che campagne di boicottaggio non costruiscono la pace: spesso, al contrario, alimentano e legittimano retoriche d’odio verso gli ebrei e, più in generale, verso chi non si allinea al mainstream pro-palestinese. Emblematico ciò che è accaduto a Milano, dopo il voto con cui il Consiglio comunale ha respinto la richiesta di interrompere il gemellaggio con Tel Aviv e i rapporti con Israele.
In questo clima è ingenuo illudersi su scelte immediate e uniformi di tutte le amministrazioni. Ma la speranza è che prevalga il senso di responsabilità istituzionale. Anche perché gli obiettivi indicati dai promotori dei boicottaggi sono stati nel frattempo raggiunti — o lo saranno a brevissimo. Si chiedeva il cessate il fuoco: c’è. Si pretendeva il ritiro dell’IDF: avvenuto. Si denunciava l’assenza di un Piano: il Piano c’è. Si invocava il diritto internazionale: la comunità internazionale e l’ONU hanno avallato l’accordo.
Restano aperti interrogativi cruciali sulla sicurezza futura dello Stato ebraico — il disarmo di Hamas, le garanzie della governance della Striscia — ma Israele ha comunque ratificato il Piano con senso di responsabilità. Soprattutto, ha fornito la risposta più chiara alle accuse di genocidio: ha accettato il cessate il fuoco e ordinato il ritiro da Gaza prima ancora della firma definitiva e del rilascio degli ultimi ostaggi. Si è mai visto uno Stato determinato allo sterminio rinunciare, d’un tratto, al presunto obiettivo per aderire a una prospettiva di pace non ancora formalizzata?
Alla luce di un quadro internazionale radicalmente mutato, è possibile ostinarsi a mantenere — o addirittura irrigidire — misure di boicottaggio? La sorte di quei provvedimenti non può dipendere da timori su ipotetiche incertezze future: deve invece misurarsi con la serietà dell’Accordo di Sharm, con il suo sostegno globale, con i benefici già visibili per israeliani e palestinesi e con le prospettive di stabilità aperte per l’intero Medio Oriente.
È, in ultima analisi, una questione di fiducia: fiducia meritata sul campo, sulla base dei fatti. Anche se domani dovessero emergere difficoltà, il sostegno istituzionale al percorso di pace non dovrebbe venire meno. Se anche una sola delle amministrazioni che hanno promosso i boicottaggi avesse il coraggio di rivedere quelle decisioni — ritirandole o almeno sospendendole, perché divenute inattuali — diventerebbe parte attiva della pace, non mera spettatrice.
Perché per ottenere una pace vera c’è bisogno di tutto, tranne che di alimentare scelte incendiarie. L’esempio della Regione Puglia indica una strada sbagliata. Le istituzioni possono e devono imboccarne un’altra: quella del sostegno leale e coerente all’accordo di Sharm el-Sheikh.
Boicottare la pace? Le istituzioni alla prova dopo Sharm el-Sheikh
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