Home > Approfondimenti > Boicottaggio accademico: quando la geografia alza muri invece di edificare ponti

Boicottaggio accademico: quando la geografia alza muri invece di edificare ponti

Daniela Santus

Tempo di Lettura: 5 min
Boicottaggio accademico: quando la geografia alza muri invece di edificare ponti

Era il 2024 quando il Senato accademico dell’Università di Torino votò una mozione per non partecipare al bando MAECI di cooperazione scientifica con Israele.
A seguire il boicottaggio si è esteso a Bari, a Palermo, a Bologna, a Pisa, a Padova. Unico imputato: Israele. I sostenitori del boicottaggio contro Israele ritengono che le Università israeliane siano coinvolte in progetti con finalità militari o complici nel sistema di occupazione e apartheid.

Nulla di tutto questo si è verificato con Cina, Russia, Iran, e altri Paesi in cui la violazione dei diritti umani è palese. I musulmani cinesi Uiguri possono continuare ad essere rinchiusi nei campi di rieducazione da Xi Jinping: dal 2014 ad oggi pare siano più di un milione. Narendra Modi può continuare a tormentare i musulmani indiani forte dell’Hinduvta: chi mai ha protestato per l’apartheid indiana? La Corea del Nord, la Somalia, lo Yemen, l’Iraq, il Pakistan, l’Afghanistan possono continuare nelle loro persecuzioni contro i cristiani senza temere che gli accademici italiani muovano un dito. E la Russia ha mano libera nello sterminio degli ucraini e degli oppositori politici.

Sia chiaro: io sarei comunque contraria al boicottaggio degli intellettuali di tutti i Paesi che ho appena menzionato per il semplice fatto che sono convinta che soltanto la cultura possa salvare questo mondo che si sta avviluppando tra le spire del complottismo, dell’odio e dell’antisemitismo.

Pensiamo al recente appello – su cui credo sia costruttivo creare un dibattito – messo nero su bianco da dottorandi, ricercatori e professori, e rivolto agli organizzatori del XXXIV Congresso Geografico Italiano. Nell’appello, inoltrato su Whatsapp per raccogliere firme, si chiede ai partecipanti al Congresso di fare pressione affinché vengano boicottati due professori: il prof. Michael Storper e la professoressa Anvi Nufar. Il primo è un vero e proprio gigante della Geografia, titolare di cattedre a Londra, a Parigi e negli USA.

Non è israeliano e neppure ebreo, eppure è stato descritto come persona che può trasmettere un “messaggio politicamente e moralmente problematico”. Quale la sua colpa? Aver firmato, nel 2023, una lettera che esprimeva “ferma condanna delle acampadas studentesche in sostegno della Palestina, definendole terroristiche e pro Hamas”. In altre parole, questi boicottatori che si ritengono sostenitori dei diritti dei palestinesi, disconoscono a chi non la pensa come loro il diritto di libertà di parola, di pensiero e di scelta.

Quello stesso diritto che magari celebrano il 25 aprile e che i nostri partigiani – combattendo il nazifascismo che queste libertà negava – hanno conquistato al prezzo del sangue.

Il boicottaggio della professoressa Anvi Nufar ha poi dell’incredibile. In realtà gli studi della collega israeliana sono la dimostrazione più palese ed evidente della democrazia dello Stato d’Israele che offre cattedra e parola anche a quanti non sono piegati su posizioni governative.

Anvi Nufar infatti si occupa di giustizia spaziale e, negli anni, ha studiato come le comunità palestinesi in Gerusalemme Est affrontino le sfide della pianificazione urbana e della partecipazione civica in un ambiente politicamente conteso. In particolare, i suoi lavori esaminano le pratiche spaziali quotidiane e le strategie di resistenza delle donne palestinesi, evidenziando le disuguaglianze strutturali e le risposte locali alla marginalizzazione urbana. Anvi Nufar conduce queste ricerche all’Università Ebraica di Gerusalemme, quella che i boicottatori pongono sul banco degli imputati perché sorge a Gerusalemme Est, sul Mt. Scopus (dove è nata nel 1925).

Cosa chiedono pertanto i nuovi censori ai due malcapitati geografi per poter permettere loro la parola? Semplicemente chiedono una sorta di abiura. Dovrebbero infatti dichiarare “pubblicamente e senza ambiguità i diritti del popolo palestinese…il diritto al ritorno dei rifugiati e la fine dell’occupazione militare illegale e dell’apartheid israeliano”. Vorrebbero inoltre che gli organizzatori verificassero che i partecipanti israeliani non siano stati coinvolti in crimini di guerra, crimini contro l’umanità o genocidio. Si chiede cioè ai geografi torinesi organizzatori del Convegno di trasformarsi in superpoliziotti, magari dotati di superpoteri.

Quando scelsi di occuparmi di Geografia avevo in mente un’idea romantica: le carte e le mappe sono state strumento fondamentale per lo sviluppo dei viaggi, soprattutto via mare. E i diari di viaggio ci hanno permesso, nei secoli, di connetterci gli uni con gli altri. Penso al Mediterraneo, un mare che dovrebbe unire e non creare divisioni. Non mi sarei mai aspettata che proprio la comunità dei geografi avrebbe issato dei muri, trattando altri geografi come ospiti indesiderati.

Mi aspetto che il comitato organizzatore rimandi al mittente simili deliranti richieste, che riaffermi con autorità che non verranno accolte discriminazione e intolleranza perché ogni forma di boicottaggio accademico si dimostra foriera di pregiudizi.

Non siamo soldati: il nostro compito di docenti è quello di creare ponti, non scavare trincee. Al momento, purtroppo, il silenzio degli organizzatori è assordante. .


Boicottaggio accademico: quando la geografia alza muri invece di edificare ponti
Boicottaggio accademico: quando la geografia alza muri invece di edificare ponti Boicottaggio accademico: quando la geografia alza muri invece di edificare ponti