A parole, l’Europa è indignata, severa, pronta a minacciare embarghi contro Israele. Nei comunicati ufficiali finge di non voler avere nulla a che fare con l’industria bellica dello Stato ebraico. Ma basta allontanarsi dalla retorica per guardare i numeri: a guidare la corsa agli armamenti israeliani è proprio l’Europa, oggi primo mercato di esportazione di Gerusalemme. Un paradosso solo per chi continua a credere che la politica estera sia dominata dai comizi anziché dagli interessi vitali.
Secondo una dettagliata inchiesta del Wall Street Journal, alcuni dei principali Paesi europei hanno ricominciato ad acquistare sistemi d’arma israeliani in modo massiccio. Germania, Regno Unito, Norvegia e altri partner occidentali hanno aperto nuovi capitoli di spesa che valgono miliardi. La ragione è semplice e brutalmente concreta: la minaccia russa incombe e gli eserciti europei, smantellati da decenni di pace presunta, cercano tecnologia immediatamente operativa. E poche industrie, nel mondo, hanno testato i propri sistemi in condizioni reali come quella israeliana.
Il cambio di clima è stato evidente a Tel Aviv, durante una grande conferenza sulla sicurezza. Mentre sul palco internazionale volavano accuse contro Israele, dietro le quinte le delegazioni europee sfogliavano cataloghi, chiudevano accordi, verificavano disponibilità. Non la scena di un continente ostile, ma di un continente inquieto, consapevole di aver perso troppo tempo a discutere e troppo poco a equipaggiarsi.
Il simbolo del nuovo corso è il colossale contratto per il sistema antimissile Arrow 3, acquistato dalla Germania per circa 4 miliardi di dollari: la più grande transazione militare nella storia israeliana. Berlino, che solo pochi mesi fa parlava di embargo, oggi include Israele nel suo programma di riarmo da 580 miliardi per il prossimo decennio. La visita del cancelliere Merz in Israele, ieri, ha confermato quanto questo asse sia ormai una componente strutturale della nuova politica di difesa tedesca.
Subito dopo è arrivata la Romania, con un pacchetto da oltre 2 miliardi per nuovi sistemi Rafael. E secondo il Wall Street Journal, altre delegazioni — dal Regno Unito alla Norvegia, dall’India al Canada, fino a Singapore e Uzbekistan — stanno completando acquisti di tecnologie testate negli ultimi mesi a Gaza, in Libano e su altri fronti sensibili.
I dati economici parlano chiaro: nel 2024 Israele ha toccato un record di 14,8 miliardi di dollari in vendite militari, e il 54 per cento è destinato all’Europa. L’anno precedente era il 35 per cento. Uno scatto verticale che non si spiega con la simpatia politica, ma con l’urgenza strategica: droni, sistemi di intercettazione, munizioni vaganti, soluzioni cyber sono oggi considerati indispensabili in un continente che ha ripreso a temere per la propria sicurezza.
Il risultato è un’Europa schizofrenica: davanti alle telecamere condanna, dietro le porte chiuse compra. E compra moltissimo. Perché quando la realtà bussa, le tirate morali cedono il passo alla difesa nazionale. E Israele, piaccia o no, offre ciò di cui l’Europa ha un disperato bisogno: tecnologia che funziona, subito.
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