Incontriamo Yossi Beilin a Roma, dove è ospite di una conferenza internazionale. In una conversazione per Setteottobre, Yossi Beilin – uno degli architetti degli Accordi di Oslo e storico braccio destro di Yitzhak Rabin – guarda al presente con una combinazione insolita di prudenza e ottimismo. Due anni dopo il 7 ottobre e all’indomani della risoluzione Onu 2803, spiega che potrebbe davvero chiudersi un ciclo della storia del conflitto israelo-palestinese, a patto che alcuni nodi vengano finalmente sciolti.
Beilin insiste sul ruolo decisivo del presidente americano Trump, che giudica «determinato» a impedire una ripresa della violenza. Il fatto che sia riuscito a convincere Cina e Russia ad astenersi in Consiglio di Sicurezza viene letto come un risultato politico enorme, perché crea un quadro multilaterale in cui – se tutte le parti lo vorranno – sarà possibile costruire un nuovo processo politico. La risoluzione 2803, da sola, non basta, ma rappresenta per lui una base concreta su cui ripartire.
Quando il discorso si sposta sulla leadership palestinese, Beilin è netto: il vero ostacolo è Hamas, ieri come oggi. Ricorda che, secondo la logica di Oslo, il partner resta l’OLP e l’Autorità Palestinese, che a suo giudizio deve tornare a governare Gaza, da cui è stata estromessa nel 2007. Solo così si potrà immaginare uno scenario in cui la Striscia e la Cisgiordania possano evolvere, nel tempo, in uno Stato palestinese responsabile e pluralista. Beilin auspica che questo Stato sia democratico, ma mette in guardia dall’errore di subordinare la pace alla piena realizzazione di una democrazia compiuta: non è la condizione che si pone a Egitto o Giordania, e farlo con i palestinesi rischierebbe di bloccare ogni avanzamento.
L’elemento centrale, per lui, resta il coraggio politico. Richiamando la figura di Rabin, spiega che fare la pace significa anche essere disposti a rischiare la propria vita, come altri leader mediorientali prima di lui – da re Abdullah I ad Anwar Sadat – hanno pagato sulla propria pelle. Senza leader, da entrambe le parti, pronti a sfidare gli estremisti del proprio campo, la pace resterà un esercizio retorico.
Beilin commenta anche la nuova ondata di antisemitismo in Europa, che rende più difficile il rapporto tra Israele e molti Paesi europei, ma che potrebbe cambiare radicalmente in presenza di un accordo di pace: una normalizzazione con i palestinesi, dice, trasformerebbe di 180 gradi la relazione con il continente, considerato da sempre l’alleato naturale di Israele.
Infine, si sofferma sui rapporti con la sinistra italiana: non li definisce intensi, ma li considera stabili e amichevoli, e racconta come il recente incontro con Elly Schlein abbia confermato questa sintonia, dentro una visione condivisa della soluzione «due popoli, due Stati» e dell’idea che, in ultima analisi, «la pace si fa con i nemici».
Beilin guarda alla pace con speranza
Beilin guarda alla pace con speranza

