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⌥ Bach in sala, l’Iran fuori

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Il presidente Mattarella ha lanciato i suoi strali contro i nuovi “dottor Stranamore”, e già l’immagine fa tremare i lampadari del Bundestag nel Giorno del Lutto nazionale tedesco. Bello, nobile, elevato. Peccato che, come spesso accade ai discorsi troppo alti, finisca in un’aria rarefatta dove le differenze evaporano e tutto si confonde.

Mettere nello stesso sacco Putin, Xi Jinping, Trump e Netanyahu è un esercizio di ginnastica retorica: allunga, accorcia, piega, e alla fine paiono tutti uguali. Criminali di guerra, dittatori, leader discutibili, democrazie imperfette, Stati di diritto: tutto mescolato come un’orchestra che suona Bach con le partiture invertite.

Nel frattempo il vero rischio – quello sì capace di incendiare il mondo – viene accennato di striscio, non sia mai, signora mia. L’Iran, il grande sponsor del terrorismo, il regime che sogna (e non smette di cercare di produrre) la bomba, la potenza che arma mezzo Medio Oriente per trasformarlo in un campo di tiro, è un puntino pressoché invisibile vicino alla cornice del quadro, scambiabile per una goccia sfuggita al pennello. Un’assenza così rumorosa da coprire persino la Bremen Baroque Orchestra che intona la cantata sacra Tilge, Höchster, meine Sünden. 

Ma davvero pensiamo che basti un anelito irenico, un’invocazione alla pace che fluttua come incenso, per fronteggiare un mondo dove gli uni governano con il codice penale in mano e gli altri con il silenziatore?

La domanda è semplice: serve la musica celestiale o serve il coraggio di chiamare le cose con il loro nome? Perché se il presidente vede Stranamore dappertutto, qualcuno dovrebbe dirgli che il pericolo non è nel film: è fuori, vivo, armato, e non suona Bach.


Bach in sala, l’Iran fuori

Bach in sala, l’Iran fuori

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