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Australia: espulso l’ambasciatore iraniano, una lezione di coraggio all’Occidente

Paolo Montesi

Tempo di Lettura: 3 min
Australia: espulso l’ambasciatore iraniano, una lezione di coraggio all’Occidente

Per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale, l’Australia ha deciso di espellere un ambasciatore straniero. Non un caso qualsiasi: l’ambasciatore iraniano Ahmad Sadeghi e tre funzionari della sua sede diplomatica hanno ricevuto l’ordine di lasciare il Paese entro una settimana.

A spingere il governo di Canberra a un passo così drastico sono state le prove raccolte dall’intelligence australiana: dietro ad almeno due attacchi antisemiti compiuti a Sydney e Melbourne c’era la regia di Teheran.

Il primo ministro Anthony Albanese ha parlato di «atti straordinari e pericolosi di aggressione orchestrati da una nazione straniera». Gli episodi, che non hanno causato vittime, hanno preso di mira la Lewis Continental Kitchen di Sydney e la sinagoga Adass Israel di Melbourne, rispettivamente il 20 ottobre e il 6 dicembre dello scorso anno. Secondo il capo dell’Australian Security Intelligence Organisation, Mike Burgess, l’Iran avrebbe non solo diretto le azioni ma anche tentato di mascherarne il coinvolgimento.

La ministra degli Esteri Penny Wong ha sottolineato la gravità della scelta: mai, dal 1945 a oggi, l’Australia aveva espulso un ambasciatore. Contestualmente, il governo ha sospeso l’attività della propria ambasciata a Teheran, dichiarato l’Iran luogo pericoloso per i cittadini australiani e avviato la procedura per inserire i Pasdaran (IRGC) nella lista delle organizzazioni terroristiche.

Una decisione che rompe il velo di ambiguità e prudenza che spesso circonda i rapporti con la Repubblica islamica. L’Australia non è certo un Paese di primo piano nelle dinamiche mediorientali, eppure ha scelto di esporsi con chiarezza: Teheran non è soltanto un attore destabilizzante in Medio Oriente, ma un esportatore di antisemitismo e violenza anche in Occidente.

Questo gesto, che ha il sapore amaro di una verità scomoda, contrasta con l’imbarazzata cautela che molti governi occidentali continuano a mostrare. Davanti a una recrudescenza dell’antisemitismo – che negli ultimi mesi ha assunto forme incendiarie nelle università, nelle piazze e perfino nei parlamenti europei – la reazione di Canberra spicca per nettezza. Mentre in troppi preferiscono minimizzare, derubricare, spiegare come «espressioni politiche» o addirittura giustificare l’odio antiebraico, l’Australia ha scelto di chiamarlo col suo nome: aggressione, diretta da un governo straniero.

C’è un paradosso evidente. Lo stesso esecutivo australiano, poche settimane fa, ha riconosciuto lo Stato palestinese, suscitando frizioni con Israele. Ma quando la sicurezza dei propri cittadini e la libertà religiosa sono state minacciate da attacchi sul proprio suolo, non ha esitato a identificare i responsabili e a trarne le conseguenze diplomatiche. Una lezione di lucidità che mette a nudo l’inerzia di tanti altri Paesi.

L’espulsione dell’ambasciatore iraniano è quindi più di un atto di politica estera: è un segnale di dignità civile. Dice che la violenza antisemita non è un «problema degli ebrei», ma un’aggressione contro la società democratica stessa. E che il silenzio, l’omertà o la timidezza degli Stati occidentali finiscono per incoraggiare chi alimenta l’odio.

L’Australia ha scelto un’altra strada: quella della verità e del coraggio. Resta da vedere chi, in Occidente, avrà la forza di seguirne l’esempio.


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