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Attenti a quei due: Augias e Carofiglio con parole precise

Aldo Torchiaro

Attenti. Se passate sotto alla Torre di Babele, guardatevi bene intorno. Piovono tegole. Abbiamo avuto la percezione di sentire seri scricchiolii quando, lunedì scorso, 15 dicembre, su La7 è andata in onda una puntata assai scivolosa. Presentativa della versione del processo di Norimberga portata oggi al cinema da un meraviglioso film di James Vanderbilt con Russell Crowe. Un tema storico che piace molto, a sinistra: è un paravento tascabile. Consente di pulirsi la coscienza da qualsiasi eccessivo entusiasmo Propal ripescando un semplice fazzoletto piegato in tasca. Permette di soffiarsi il naso per reprimere un singhiozzo rivolto al passato. Gli ebrei morti per mano dei nazisti vanno ricordati, celebrati, omaggiati. Quelli morti, più di recente, per mano palestinese no. Mai. E per ragioni che purtroppo – lontane dall’essere logiche – intuivamo prima ancora di seguire l’avventurarsi di Augias in sentieri dal periplo periglioso.

Quando era trascorsa un’ora e un quarto dall’inizio della trasmissione, e Corrado Augias ha iniziato ad accusare la stanchezza, o forse aveva solo scaldato a sufficienza le corde vocali, ecco che si concede l’indicibile. “La notizia terribile dell’attentato fatto durante la festa di Hannuckà a Sydney, in Australia, laggiù, lontano e fuori da ogni contesa europea e mediorientale, all’altro capo del mondo… Colpisce i cittadini ebrei, con un bilancio di molti morti. Che poi aumentata col passare delle ore. Lo stesso rabbino è risultato assassinato. Io credo che il lascito più brutto di Netanyahu sia proprio questo: di avere acceso, rinnovato o incrementato l’odio antisemita nel mondo”.

In un fraseggio all’apparenza innocente e perfino solidale, Augias inanella una serie di errori da matita blu. I cittadini ebrei, per esempio, non si classificano più tali dalla fine delle leggi razziali. Quelli uccisi a Bondi Beach erano cittadini australiani: la cittadinanza ebraica non esiste. E quando dice che il rabbino è risultato assassinato, che cos’è quel ‘risultare’, se non una scolorita – e decolorante – presa di distanza? Quando si parla delle vittime di Gaza, non si dice che risultano uccise: si afferma con certezza, e con assoluta e profonda emozione, che il numero delle vittime è altissimo. Anche se la sola fonte che lo dice è Hamas. Ma è sulla testa di Netanyahu che Augias libera la ghigliottina mediatica. E lo fa con parole sconsiderate, cariche di odio. Ripetiamo, scandendo parola per parola: “Credo che il lascito più brutto di Netanyahu sia quello di aver acceso, rinnovato o incrementato l’odio antisemita nel mondo”. Averlo acceso, no. Era purtroppo acceso da molti anni, stando a quanto avevano appena detto in studio sul film Norimberga. Averlo rinfocolato, è irricevibile. Il governo di Israele agisce per difendere gli ebrei all’interno e all’esterno dello Stato. Il primo ministro israeliano non può essere l’attivatore di un processo di odio del quale sarebbe, da ebreo, la prima vittima. Ma poi, che discorsi sono? Se islamici radicalizzati compiono una strage efferata, terroristica, la colpa non sarà di chi ha inculcato l’odio, fanatizzato la predicazione islamica, insufflato concetti violenti e fornito le armi, i fucili a pompa? No. Non si inquadra, neanche con due parole, quella bandiera dell’Isis che gli investigatori di Sydney hanno trovato nella macchina degli assassini. Neanche per idea. Le munizioni, le bandiere nere, le rivendicazioni salafite scompaiono, a La Torre di Babele. Si riconduce la morte violenta di quegli ebrei – stabilendo un nesso causale perfido, incommentabile – direttamente alle scelte politiche del governo israeliano. Un governo eletto, l’esito del libero voto della democrazia più pluralista e articolata di quel quadrante della Terra. E da terra Augias raccoglie e scaglia la sua pietra. Nello studio non fiata nessuno.

Per un istante, al pronunciare di un sillogismo tanto sperticato, si nota nel primo piano di Gianrico Carofiglio un moto di distacco. Un lungo respiro, un’alzata di spalle. Perché certi retropensieri arrivano all’improvviso e spostano quasi fisicamente le persone. Carofiglio esita una frazione di secondo. “Non lo so”, sono le sue prime parole. Poi si ricompone, si riprende: “È possibile certamente che questo modo di stare nel mondo che ha lui (Netanyahu, ndr.) e quelli che con lui hanno lavorato, hanno fatto e stanno facendo… e cioè un genocidio, è inutile girarci troppo intorno, non abbiano aumentato troppo le simpatie rispetto allo Stato di Israele e quindi rispetto anche agli ebrei”. Ed eccolo, il genocidio, tirato in ballo in spregio alla memoria e come oltraggio a Liliana Segre, che aveva più volte scongiurato tutti di non associare più il termine genocidio a chi un genocidio vero l’ha subito. Augias, evidentemente compiaciuto, tace come chi acconsente. E Carofiglio s’infila pure lui nel tunnel degli orrori – e degli errori – in cui s’era già smarrito il conduttore: il modo di stare al mondo (di chi? Degli ebrei?) è il problema, viene detto. Lo dicevano anche in Germania, un secolo fa. E il governo israeliano, dice, allontana le simpatie del mondo da Israele e quindi da tutti gli ebrei. Testuali parole. Incredibili. Irrimediabili. E purtroppo vere. Ci sarebbe da mettersi le mani nei capelli, a voler considerare il contesto: un incanutito intellettuale cresciuto nella rive gauche di Repubblica che dialoga con un ex magistrato diventato scrittore di best seller e frequent flyer degli studi televisivi à la page. Due che sentono di poter salire in cattedra e invece inciampano, sempre più maldestri, fino a rotolare rumorosamente giù, in diretta tv. Luoghi comuni, antipatici cliché, sviste lessicali e trappole narrative affastellano davanti agli occhi degli spettatori la più odiosa delle scusanti per gli stragisti di Bondi beach: se la sono andata a cercare, quegli ebrei: se la prendano con Netanyahu, adesso. Il messaggio è chiaro. Il sottotesto anche. La Torre di Babele d’altronde aveva visto concludersi i suoi giorni vittima del suo stesso caos. Qui Augias e Carofiglio, nella Babele delle loro perifrasi su ebrei e Israele, si avventurano fino al culmine della sfida al buon senso. E lo hanno fatto, incredibile a dirsi, presentando un libro – l’ultimo volume di Carofiglio – che si intitola “Con parole precise”.
Paradossale. Anche questa è una parola precisa.


Attenti a quei due: Augias e Carofiglio con parole precise
Attenti a quei due: Augias e Carofiglio con parole precise