La mattina del 27 dicembre 1985, verso le 9, un commando palestinese legato all’organizzazione di Abu Nidal attacca l’aeroporto di Roma-Fiumicino: quattro terroristi armati di kalashnikov e bombe a mano colpiscono le file al check-in della compagnia israeliana El Al e della statunitense TWA e il bar vicino. In pochi minuti uccidono 13 persone e ne feriscono oltre 70, tra cui cittadini italiani, americani, israeliani e di altri Paesi. Tre aggressori vengono uccisi dalla sicurezza israeliana e dalle forze dell’ordine italiane; il quarto, ferito e catturato, verrà condannato in Italia.
Quasi in contemporanea, un altro commando di Abu Nidal assalta l’aeroporto di Vienna-Schwechat, sempre nell’area dei voli El Al: granate e raffiche contro i passeggeri in coda per un volo verso Tel Aviv provocano altri morti e decine di feriti. Il bilancio complessivo dei due attacchi supera i cento feriti e una ventina di vittime civili. È uno degli apici del terrorismo palestinese in Europa, con obiettivi apertamente israeliani ma colpiti in spazi pubblici occidentali.
Le indagini attribuiranno la regia ad Abu Nidal, capo di un gruppo scissionista dall’OLP, ostile a ogni prospettiva di negoziato con Israele e sostenuto da alcuni regimi mediorientali. Per l’opinione pubblica europea, la strage di Fiumicino e quella di Vienna segnano un prima e un dopo: mostrano che il conflitto israelo-palestinese non è più “lontano”, ma può esplodere nelle sale d’attesa degli aeroporti europei, trasformando i viaggiatori in bersagli sostitutivi dell’odio anti-israeliano.
A distanza di decenni, molte famiglie delle vittime continuano a denunciare la lentezza della giustizia e la rimozione politica di un episodio che ha mostrato, in modo brutale, quanto poco valesse allora la sicurezza degli ebrei e di chi viaggiava accanto a loro.
Attentato di Abu Nidal a Fiumicino e Vienna (27 dicembre 1985)

