Queste sono alcune delle domande a cui dovremmo rispondere se vogliamo capire come affrontare il conflitto. Occorre ragionare in due direzioni: da un lato analizzare gli errori compiuti finora, dall’altro cambiare radicalmente rotta. Non si può trovare una soluzione senza conoscere bene tutti gli aspetti del rapporto tra arabi ed ebrei, che non nasce con il ritorno degli ebrei nella terra d’Israele da cui erano stati cacciati: la storia comincia con Maometto, che fonda una nuova religione in parte basata sull’ebraismo e che, dopo un breve idillio, avvia persecuzioni contro gli ebrei diffusi in tutti i Paesi del Mediterraneo.
Il conflitto tra Israele e gli arabi in Palestina è spesso raccontato da chi non conosce tutti gli elementi che lo hanno generato e fatto evolvere nell’ultimo secolo. La maggior parte delle persone non ha una conoscenza diretta del mondo arabo, cui appartengono circa due miliardi di persone.
Vediamo allora le domande cui dare risposte fondate sui fatti, senza farci condizionare dalle narrazioni di parte. Dove sono le ambiguità? Che cos’è la Palestina? Chi sono i palestinesi? Qual è la storia del territorio conteso? Chi erano gli abitanti della Palestina da quando il nome fu cambiato da Giudea a Palestina? Quali popoli l’hanno conquistata nei secoli? Chi ha abitato con maggiore continuità il Paese? Che cosa deliberò la Società delle Nazioni in merito al mandato sulla Palestina? Che cosa decise l’ONU quando subentrò alla Società delle Nazioni? Perché l’ONU creò l’UNRWA, un’agenzia esclusiva per i profughi arabi dalla Palestina? Perché non creò un’agenzia parallela per i profughi ebrei dai Paesi arabi, perseguitati e discriminati e costretti a fuggire? Perché gli arabi di Palestina (e non solo), fin dagli anni dell’asilo, educano i propri figli a uccidere gli ebrei? Perché l’Unione Europea, che contribuisce all’educazione degli arabi in Palestina, non ha mai controllato in che modo siano stati utilizzati i fondi per l’istruzione? Perché gli arabi hanno sempre rifiutato di creare uno Stato arabo in Palestina anche quando hanno avuto a disposizione la Cisgiordania e Gaza? Perché non hanno costruito una società indipendente e democratica nella Striscia di Gaza evacuata da Israele nel 2005? Perché molti giornalisti non ricordano che Hamas (e, in passato, anche l’ANP) ha predicato e predica la cancellazione di Israele? Non dimentichiamo che l’Islam sciita (con l’Iran in prima linea) ha nel proprio programma la cancellazione di Israele, obiettivo condiviso da Hamas: per questo Hamas ha trovato nell’Iran un alleato strategico, come dichiarato esplicitamente nel suo Statuto.
Al di là delle scaramucce e degli attentati che si sono susseguiti tra arabi ed ebrei, per quattro volte gli eserciti arabi hanno tentato di raggiungere l’obiettivo di cancellare Israele, dopo il genocidio nazista:
1948–49, dopo la dichiarazione d’indipendenza di Israele (che invito a leggere);
1967, la Guerra dei Sei Giorni, scatenata da Nasser, con la partecipazione attiva di Egitto, Giordania e Siria;
1973, la Guerra del Kippur, cui parteciparono Egitto, Siria e Giordania;
7 ottobre 2023, l’attacco lanciato da Hamas, sostenuto da vari attori (Hezbollah dal Libano, gli Houthi dallo Yemen, l’Iran).
Uno dei paradossi dell’UNRWA è che riconosce come profughi i discendenti dei profughi per tutte le generazioni, anche dopo cinque o sei passaggi, mentre non riconosce come profugo neppure uno dei circa 700.000 ebrei provenienti dai Paesi arabi e accolti in Israele.
Noi ebrei di Libia siamo stati profughi. Mia madre, di benedetta memoria, visto il pericolo imminente per la nostra sopravvivenza, decise di abbandonare tutto e riparare in Italia: in quanto crocerossina aveva assistito ai massacri compiuti dagli arabi nel 1945 e nel 1948. Le stesse modalità di violenza le abbiamo viste nei massacri del 7 ottobre. Ricordo che a Tripoli dovevamo fare attenzione a pronunciare la parola “Israele” perfino nelle preghiere; se qualcuno ci avesse sentito, avremmo dovuto giustificarci dicendo che era solo per motivi religiosi (lo Shema‘ Israel è la prima preghiera che si insegna ai bambini).
Non intendo rispondere ora a tutte queste domande; voglio invece capovolgere quanto accade oggi tra gli arabi in Palestina: perché, invece di educare all’odio e a uccidere gli ebrei, non insegnare ad amare il prossimo e i vicini (ebrei, drusi, circassi, cristiani)? Perché, persino in guerra, non si proteggono i figli invece di lasciarli allo scoperto mentre gli adulti usano i tunnel come rifugi? Gli arabi di Palestina dicono di amare i propri bambini, ma li espongono a rischi mortali. Perché usare i figli come scudi e non essere, piuttosto, scudi per loro, educandoli all’amore? È noto che anche gli animali proteggono la prole. I genitori dovrebbero fare di tutto per custodire la vita dei figli: questi non hanno chiesto di venire al mondo e, certamente, non di essere esposti a una morte violenta, addossandone poi la colpa a Israele. Anche i tanti pro-Pal hanno responsabilità per non aver chiesto con forza un cambio di comportamento.
Chi vuole davvero bene agli arabi palestinesi e ai loro bambini deve condannare tali condotte. I miliziani di Hamas che il 7 ottobre hanno compiuto massacri sono stati, ieri, bambini educati al grido “Itbach al-Yahud”, “uccidi l’ebreo”, usato come chiamata alla battaglia.
Qualsiasi soluzione pratica potrà avere successo solo se gli arabi di Palestina cambieranno i loro sistemi educativi. Altrimenti accadrà ciò che è accaduto finora: l’odio genera altro odio e non sarà rivolto solo contro gli ebrei, ma anche contro altri arabi. Per avviare una soluzione nei prossimi anni è urgente modificare l’insegnamento a partire dall’asilo: non insegnate a odiare gli ebrei; insegnate ad amarli.
Arabi di Palestina: insegnate ai vostri figli ad amare gli ebrei e non a odiarli
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