Cinque linee strategiche, ventidue obiettivi, sessantotto azioni rivolte alle istituzioni pubbliche.
La definizione di antisemitismo dell’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) assunta come cornice operativa e culturale.
Una regia centrale affidata al Coordinatore nazionale per la lotta contro l’antisemitismo, con funzioni di attuazione, monitoraggio e proposta verso Esecutivo e Parlamento.
È questo l’impianto della Strategia Nazionale per la lotta contro l’antisemitismo, aggiornata nel 2025 dal Governo italiano.
Un documento articolato, tutt’altro che simbolico, che individua responsabilità precise e strumenti concreti. E che dedica un’attenzione particolare a scuola e università, luoghi decisivi nella formazione delle nuove generazioni, oggi sempre più esposte a forme di attivismo ideologico antisionista veicolato anche da una parte del corpo docente.
Non a caso, nella Seconda linea strategica, l’Obiettivo 1 punta a «favorire l’adozione e l’utilizzo della definizione operativa IHRA all’interno dei codici etici, di condotta e di comportamento dei dipendenti pubblici», inclusi quelli del sistema scolastico e universitario.
Seguono altri obiettivi altrettanto espliciti:
l’Obiettivo 4, che mira a sviluppare percorsi formativi, progetti di ricerca e attività di Terza missione specificamente dedicati al contrasto dell’antisemitismo;
l’Obiettivo 5, che rafforza la formazione di studenti, docenti e dirigenti scolastici per educare al rispetto delle differenze e contrastare ogni forma di discriminazione;
l’Obiettivo 7, che invita a valorizzare nei libri di testo la cultura e la storia ebraica e a dare spazio alla Shoah;
l’Obiettivo 8, che prevede l’integrazione delle Indicazioni nazionali e dei curricoli scolastici per rafforzare la conoscenza della storia, della cultura, dell’identità e della religione ebraica, sottolineandone il contributo allo sviluppo della società italiana.
Ogni obiettivo è accompagnato da azioni specifiche, già definite, per garantirne l’attuazione.
A questo quadro si affianca la Circolare del Ministero dell’Istruzione e del Merito del 7 novembre 2025, che chiarisce come eventi e dibattiti su temi sensibili nelle scuole debbano svolgersi nel rispetto del pluralismo, del confronto tra posizioni diverse e della libertà di pensiero. La violazione di tali principi legittima iniziative di vigilanza, dalle ispezioni ministeriali alle segnalazioni al Coordinatore nazionale.
La Strategia nazionale restituisce dunque un’immagine chiara di ciò che scuola e università dovrebbero essere: luoghi di educazione al rispetto e al rifiuto di ogni forma di discriminazione, inclusa quella contro gli ebrei. Sembra un’ovvietà. Non lo è, se si continuano a ospitare figure improponibili come Francesca Albanese, se studenti ebrei vengono emarginati o se Israele – anche nei libri di testo – è sistematicamente dipinto come il male assoluto.
Gli strumenti per contrastare questi fenomeni esistono. Presto, si auspica, si aggiungerà anche una legge organica che recepirà formalmente la definizione IHRA. Ma finora troppe istituzioni non hanno dato concreta attuazione a quanto già previsto.
Anche la società civile può fare la sua parte. Chiedere alle scuole dei propri figli o alle università che si frequentano quali azioni previste dalla Strategia siano state avviate è una forma legittima di pressione democratica. In molti casi la risposta sarà “nessuna”, o peggio ancora iniziative in contrasto con gli obiettivi indicati. Proprio per questo è necessario incalzare, pretendere impegni, chiedere conto del futuro.
Il problema, però, non è solo normativo. È culturale.
Nessuna legge funziona senza una reale sensibilizzazione dell’opinione pubblica.
Occorre spiegare, con chiarezza, che l’antisionismo non è diritto di critica: è odio contro gli ebrei. È l’ideologia del doppio standard, che nega al popolo ebraico il diritto a uno Stato e alle stesse garanzie di sicurezza riconosciute a qualunque altra nazione.
Va chiarito che la definizione IHRA non limita la libertà di espressione, affermando esplicitamente che «le critiche a Israele simili a quelle rivolte a qualsiasi altro Paese non possono essere considerate antisemite».
E infine è il momento di essere più netti, persino – se serve – un po’ egoisti, nel senso più sano del termine. Pensando al nostro futuro e a quello dei nostri figli.
Perché il fondamentalismo islamico, massima espressione dell’antisionismo, oggi colpisce Israele e gli ebrei, ma domani colpirà l’Occidente. E non farà sconti, nemmeno a chi oggi predica comprensione per i terroristi o esulta per la liberazione dell’Imam di Torino.
Antisemitismo, le regole ci sono. Ora vanno applicate
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