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«Allah è lesbica»: il coraggio proibito di Ibtissam Lachgar

Giulio Meotti

Tempo di Lettura: 3 min
«Allah è lesbica»: il coraggio proibito di Ibtissam Lachgar

«God save the queer», recita un titolo di Michela Murgia. Avrebbe potuto scrivere «Allah save the queer», ma Murgia non avrebbe mai osato tanto. Una vera femminista, invece, lo ha fatto. E non è finita bene.

Una maglietta con la scritta «Allah è lesbica» – la parola “Allah” in arabo, calligrafia coranica – è costata l’arresto alla femminista marocchina Ibtissam Lachgar. La foto è stata scattata al festival “Women Create!” di Londra, evento che sostiene «artiste e femministe censurate e vulnerabili».

Nel tempo del delirio linguistico, della cancellazione della realtà, della violenza ideologica e dell’egemonia culturale nelle università, scuole, televisione e cultura, tra il tempo dei «Queer for Gaza» e della retorica buonista, emerge una femminista araba che osa l’impensabile, rifiutando il conformismo.

Non è tutto. Lachgar ha definito l’Islam «fascista, patriarcale e misogino». Un’affermazione che conferma come, oggi, le ultime vere femministe possano venire dal mondo islamico. Psicologa formata a Parigi, Lachgar si muove con sicurezza nei circuiti internazionali, ma ha oltrepassato una linea rossa: è diventata persona non grata.

Inutile cercare la sua causa tra i militanti occidentali politically correct, nella cancel culture, nel mondo woke: per loro è “islamofoba” e critica del gender. Nessun sostegno, dunque, come non lo riceverà da Amnesty International, impegnata altrove, o dai partiti di sinistra, sempre pronti a difendere l’Islam più anti-laico.

Le minacce contro Lachgar sono di stupro, linciaggio e lapidazione. In Palestina, all’ombra dell’Autorità Nazionale, un ragazzo omosessuale è stato decapitato e trascinato in strada. In Europa, come racconta sullo Spectator l’omosessuale britannico Charlie Griffin, aggredito a Bruxelles da uomini in abiti religiosi islamici, la situazione non è migliore.

Lo scrittore algerino Kamel Daoud ha ricordato che il mondo arabo-islamico non ha un David Grossman; Israele sì, perché è una democrazia. Il suo amico Boualem Sansal marcisce in prigione per un’intervista.

Noi, però, non abbiamo una come Ibtissam. Abbiamo piuttosto i cloni di Judith Butler, teorica queer per cui «Hamas e Hezbollah sono movimenti progressisti». E intanto, come ha ricordato Ayaan Hirsi Ali sul Wall Street Journal, quaranta Paesi islamici prevedono carcere o morte per gli omosessuali.

I nostri liberal? Pronti a satireggiare il cristianesimo, mai l’Islam. Se Lachgar avesse scritto «Dio è lesbica» e fosse stata arrestata a Mosca o Budapest, campeggerebbe sulle prime pagine. Ma Lachgar non è una Murgia.

L’ipocrisia è totale: piazze, sit-in e campagne per gli omosessuali in Bangladesh? Solo se sbarcano a Lampedusa. Proteste contro l’Iran o l’Indonesia? Zero. In Occidente basta proclamarsi «per la pace» e «per le donne» – ma non per tutte, certo non per le israeliane o le arabe ribelli.

Il disinteresse per il caso Lachgar è sintomo di un processo più ampio: l’islamizzazione silenziosa dell’Europa. Moschee sempre più grandi, richiami del muezzin sui tetti, velo imposto socialmente, boicottaggio di gite scolastiche, pasti halal sostitutivi, pressioni religiose nei luoghi di lavoro. E una crescente indulgenza giudiziaria verso crimini “d’onore”, violenze omofobe e aggressioni antiebraiche.

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