Il Qatar ha trascorso l’estate del 2025 accelerando la sua espansione politica ed economica in Africa, con un ritmo che pochi attori internazionali riescono a sostenere. Nel giro di poche settimane, Doha ha firmato intese per centinaia di miliardi di dollari, alternando promesse di capitale a missioni diplomatiche di alto profilo. Il 26 agosto lo sceicco reale Mansour bin Jabor bin Jassim Al Thani si è recato in Mozambico, dove ha siglato un «accordo di cooperazione strategica» da 20 miliardi di dollari tra il governo locale e la società di investimenti qatariota Al Mansour Holding. Il pacchetto riguarda progetti in agricoltura, energia ed edilizia, settori chiave per un Paese che cerca da anni di attrarre capitali esteri.
Non si è trattato di un caso isolato. Già il 13 agosto la Repubblica Democratica del Congo aveva ricevuto la promessa di altri 20 miliardi di dollari. L’impegno economico si accompagna a un tentativo di mediazione politica: il Qatar, infatti, sta negoziando tra Kinshasa e i ribelli dell’M23, sostenuti dal Ruanda, che da decenni destabilizzano l’est del Paese. A luglio Doha aveva favorito un cessate il fuoco e fissato al 18 agosto il termine per un accordo di pace definitivo. La scadenza è trascorsa senza intesa, ma i colloqui continuano nella capitale qatariota: segno che diplomazia e flussi di denaro sono strettamente intrecciati.
Il 16 agosto è stata la volta del Burundi: dopo un incontro con il presidente Evariste Ndayishimiye, una delegazione qatariota ha annunciato investimenti per 180 miliardi di dollari, presentandoli come un sostegno diretto dell’emiro Tamim bin Hamad Al Thani alla «crescita e all’emersione» del Paese africano. Qualche giorno dopo, il Qatar ha rivolto l’attenzione allo Zambia, promettendo 19 miliardi per la creazione di una banca nazionale per lo sviluppo, la riforma del settore finanziario e nuovi veicoli d’investimento garantiti da Stati sovrani.
Il 21 agosto il presidente del Botswana ha annunciato un pacchetto da 12 miliardi di dollari tra la società statale Botswana Development Corporation e Al Mansour Holding, focalizzato su infrastrutture, energia, attività minerarie, raffinazione dei diamanti, agricoltura, turismo, sicurezza informatica e difesa. Il giorno successivo, Mansour Al Thani ha guidato una delegazione di 18 persone in Zimbabwe, con l’obiettivo di consolidare nuove partnership e promuovere il turismo. La missione si è conclusa con la promessa di 19 miliardi in diversi settori, a partire dalla costruzione di un hotel a cinque stelle. «Stiamo valutando una relazione di lungo termine con lo Zimbabwe» ha dichiarato Nidal Ammach, consulente di Mansour, sottolineando l’intenzione di dare avvio a progetti sostenibili.
Con lo Zimbabwe, l’ammontare complessivo delle promesse qatariote in Africa nell’estate 2025 ha raggiunto i 270 miliardi di dollari. Una cifra enorme, che conferma la strategia di Doha: presentarsi come partner neutrale e affidabile, capace di combinare ingenti capitali e mediazione politica. Tuttavia, l’esperienza insegna che la formula qatariota non sempre produce stabilità. Gaza rappresenta l’esempio più lampante: nonostante oltre un miliardo di dollari versati da Doha nel corso degli anni, l’area è rimasta un epicentro di conflitto. Gli sforzi di Al Thani per portare Hamas al tavolo dei negoziati non hanno mai generato un cessate il fuoco duraturo, e il denaro investito non ha impedito nuove escalation di violenza. Lo stesso copione si è visto in Afghanistan, dove i negoziati sponsorizzati da Doha non hanno fermato il ritorno violento dei talebani al potere, favorito dal vergognoso e vile ritiro di Usa e alleati.
In Africa, gli investimenti qatarioti potrebbero favorire economie che dipendono in larga parte dalle miniere. In Botswana i fondi potrebbero attenuare la dipendenza dai cicli volatili dei diamanti. In RDC e Zambia, invece, l’arrivo di capitali potrebbe sbloccare immense riserve di litio e cobalto, minerali cruciali per la transizione energetica globale. Ma, chiudendo il libro delle favole e aprendo il sito di Oxford Economics, si legge: i prezzi internazionali dei diamanti sono in calo e la mancanza di infrastrutture adeguate frena la capacità di monetizzare queste risorse.
Il contesto internazionale spiega la rapidità con cui Doha si muove. Gli Stati del Golfo, nel complesso, stanno aumentando la loro presenza in Africa: solo nella prima metà del 2025 hanno investito 2,2 miliardi di dollari nel settore minerario. Abu Dhabi, attraverso l’International Resources Holding, ha acquistato la miniera di rame Mopani in Zambia per 1,1 miliardi nel 2024, mentre i colossi DP World e AD Ports stanno ampliando il controllo dei porti africani. Tutto questo mentre gli Stati Uniti, sotto il secondo mandato di Donald Trump, accentuano il protezionismo, spingendo diversi Paesi africani a cercare partner alternativi. In questo scenario, il Qatar e i suoi vicini del Golfo riempiono un vuoto, offrendo denaro e influenza politica.
Per Doha, i 270 miliardi promessi non sono solo una scommessa economica. Fanno parte di una strategia più ampia: ridurre la dipendenza dagli idrocarburi, assicurarsi accesso a cibo e materie prime, aprire nuovi mercati. Ma trasformare le promesse in realtà sarà complesso. «Assicurarsi il capitale è solo il primo passo – osserva Oxford Economics – l’implementazione è il vero banco di prova». In altre parole, senza governance solida, trasparenza e capacità gestionale nei Paesi partner, tutti quei miliardi non produrranno sviluppo. Ma altre Gaza.
Africa del Qatar: miliardi, promesse e il rischio di nuove Gaza Africa del Qatar: miliardi, promesse e il rischio di nuove Gaza Africa del Qatar: miliardi, promesse e il rischio di nuove Gaza