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⌥ Acqua alla gola

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Greta Thunberg è tornata. O per meglio dire, non se n’è mai andata. Cambia solo scenografia, come un’attricetta instancabile che gira il mondo per non permettere che la sua fama declini e i suoi sponsor chiudano le borse. Avant’ieri è toccato a Venezia: acque tinte di verde, selfie indignati, slogan ripetuti come giaculatorie, insomma lo stesso repertorio da tournée infinita e da processione di paese.

Il problema non è il colore del Canal Grande, ma l’infinita capacità di Greta di passare da una “causa” all’altra senza che mai, dico mai, le si arrossisca il volto. Mai un dubbio, mai un’oncia di vergogna, mai un attimo di responsabilità sul fatto che ogni suo blitz è una cartolina perfetta per chi la finanzia e un fastidio concreto per chi deve vivere nei luoghi che lei usa come scenografia.

Sempre in lotta, sempre in posa. E sempre sicura che basti tingerci l’acqua per lavar via la complessità del mondo. Aveva ragione Aznavour a cantare ‘quant’è triste Venezia’, una città che con tutti i problemi che ha, doveva pure diventare un set per il one-woman-show dell’eroina del catastrofismo ambulante.


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