Un nuovo anno pieno di paure per gli ebrei nel mondo sta iniziando, ma forse qualcosa di nuovo e positivo timidamente si affaccia sullo scenario mediorientale, anche se viene taciuto o tenuto “low profile” dalle piattaforme mediatiche.
Il presidente Trump vorrebbe annunciare durante l’Assemblea Generale dell’ONU un Accordo di Sicurezza definitivo (non un accordo di pace o di normalizzazione) tra Israele e il nuovo regime siriano guidato dall’ex terrorista sanguinario Ahmed al-Sharar, più conosciuto con il nome di battaglia al-Jolani. Dopo le visite negli Stati Uniti da Trump, in Francia da Macron e in Russia da alti funzionari governativi, al-Jolani si accinge a parlare dal palco delle Nazioni Unite. Se verrà firmato questo Accordo di Sicurezza tra Israele e la Siria, sarà lecito pensare che possa essere il preludio a un vero accordo di pace.
Israele, tramite il ministro per gli Affari strategici Ron Dermer, ha posto delle condizioni prima di essere pronto a firmare lo storico accordo. Lo Stato ebraico sarebbe disponibile a un ritiro parziale, lasciando solo 2 km di profondità per la “zona cuscinetto” oltre il confine con la Siria, ma non è disposto a ritirarsi dal Monte Hermon, di vitale importanza strategica. Israele chiede anche una no-fly zone a sud-ovest di Damasco, in direzione del confine israeliano, e un corridoio aereo per i jet dell’aeronautica da utilizzare in caso di nuova guerra contro l’Iran.
Gli eventi si susseguono rapidamente: a New York Giorgia Meloni si è incontrata con al-Jolani, dando così ulteriore credibilità internazionale alla nuova leadership siriana. Si spera che ciò possa rappresentare un altro piccolo passo verso la costruzione della pace tra i due Paesi.
Nonostante le pressioni di Trump affinché l’accordo venga siglato con un incontro al massimo livello tra Netanyahu e al-Jolani, l’ipotesi più probabile è che si arrivi inizialmente a una “de-escalation”: Israele si impegnerebbe a fermare i suoi attacchi e la Siria a non portare armamenti pesanti vicino al confine. Sarebbe il primo passo verso un’intesa che i due Paesi stanno negoziando.
Al-Jolani, tramite il suo ministro degli Esteri, aveva già espresso informalmente l’assenso alla rinuncia della sovranità siriana sulle Alture del Golan, occupate da Israele nella guerra dei Sei Giorni del 1967 e annesse nel 1981. Una rinuncia che, se confermata, avrebbe due effetti estremamente positivi: il primo, di ordine geopolitico, sancirebbe ufficialmente una realtà consolidata da quasi sessant’anni, annullando la risoluzione ONU che dichiarava nulla l’annessione israeliana; il secondo effetto riguarderebbe la comunità drusa, circa 25.000 persone nelle Alture del Golan, che riceverebbe finalmente una definizione chiara di status cittadino. Oggi solo il 30% dei drusi del Golan ha la cittadinanza israeliana; gli altri sono apolidi.
La comunità drusa, pur avendo una forte identità culturale e religiosa, è leale e integrata in Israele e vive in modo armonioso accanto agli ebrei. Chiede protezione allo Stato ebraico. Lo scempio avvenuto nella città drusa di Sweyda in Siria, perpetrato da beduini e fazioni islamiche radicali contro uomini, donne e bambini, con 1.400 morti e un numero imprecisato di ostaggi, ha riportato la questione drusa al centro dell’attenzione in Israele, molto meno in Italia e in Occidente.
I drusi sono una popolazione pacifica di origine araba che abbandonò l’islam nel 1017, creando una religione con elementi cristiani e islamici. Pur avendo le caratteristiche proprie di un popolo, non hanno mai coltivato velleità territoriali o progetti di autodeterminazione. Si adattano pacificamente ai governi sotto cui vivono. È evidente che un regime islamico sunnita come quello che si è instaurato in Siria dopo l’uscita di Assad, Iran e russi rappresenti un pericolo grave per la comunità drusa. Non a caso, nell’accordo di sicurezza Israele chiede garanzie specifiche per la loro incolumità. L’IDF, come già accaduto pochi mesi fa, è pronta a difenderli e a proteggerli.
C’è un legame diretto tra i drusi del Golan israeliano e quelli di Sweyda: famiglie divise da un confine, richieste di corridoi umanitari, appelli di solidarietà. Israeliani e drusi si considerano fratelli e questo vincolo obbliga lo Stato ebraico a difendere questa popolazione pacifica e orgogliosa.
Majdal Shams, villaggio druso ai piedi del Monte Hermon, è tristemente noto per la strage dei 12 bambini uccisi da un razzo di Hezbollah il 27 luglio 2024. Quella tragedia ha rafforzato i legami con il governo israeliano. Chi visita quei luoghi può toccare con mano l’accoglienza, l’ospitalità e la gentilezza di una comunità che desidera soltanto vivere liberamente, come già avviene in Israele. La comunità drusa nello Stato ebraico può esprimersi liberamente a ogni livello: è rappresentata in Parlamento, come il resto degli arabi israeliani, e ha un forte senso di lealtà verso Israele.
Ma in un mondo che parla a sproposito di genocidio, o che discute di un assurdo riconoscimento unilaterale dello Stato di Palestina senza neppure chiedere il diritto all’esistenza di Israele come precondizione, la mattanza di Sweyda è passata quasi inosservata.
Ecco perché, in un contesto tanto assurdo, un Accordo di Sicurezza con un ex terrorista diventato premier siriano può apparire un lampo di luce nell’oscurità delle cancellerie occidentali.
Articolo chiuso in redazione alle ore 22,00 del 24 settembre 2025
Accordo di sicurezza Israele/Siria
Accordo di sicurezza Israele/Siria
Accordo di sicurezza Israele/Siria