C’è un silenzio che non dimentichi. Quello che resta dopo l’urlo. Dopo il fuoco. Dopo aver visto tutto ciò che credevi impossibile accadere in poche ore. Il 7 ottobre 2023 non è stato un “conflitto”. È stato un pogrom, un’esecuzione di massa travestita da resistenza. Famiglie intere trucidate nei kibbutz, bambini bruciati nei letti, donne stuprate davanti ai figli, vecchi rapiti, corpi fatti a pezzi e filmati con orgoglio.Era l’odio che tornava, nudo, gridato, celebrato. E noi? Noi abbiamo guardato. Qualcuno ha pianto. Troppi hanno cercato subito un modo per dire: “Sì, ma…”
La seconda strage
Il giorno dopo è iniziato il secondo massacro. Quello della verità. Nei talk show, nelle università, nei post su Instagram. Le stesse bocche che per anni avevano parlato di pace, improvvisamente zeppe di slogan: “Resistenza del popolo oppresso”. Le stesse mani che disegnavano colombe, ora alzavano pugni gridando “Intifada”. Il mondo ha impiegato ventiquattr’ore per passare dal dolore all’alibi. Per dire che “Israele reagisce troppo”, che “bisogna capire le cause”. Come se esistesse una causa per decapitare un neonato. Come se il terrorismo potesse avere un lato romantico.
La rimozione organizzata
Da quel giorno, l’Occidente ha iniziato la più grande operazione di rimozione morale della sua storia recente. I giornali hanno smesso di mostrare le immagini dei corpi. I social hanno oscurato le foto dei rapiti perché “disturbano la sensibilità”. Gli artisti hanno firmato appelli, ma non per i morti israeliani.
Il messaggio è chiaro: ci sono vittime che commuovono e vittime che imbarazzano. E gli ebrei, ancora una volta, stanno nel secondo gruppo. È tornata la vecchia maledizione europea: si piangono gli ebrei morti, si diffida di quelli vivi.
L’associazione Setteottobre
Per questo nasce l’Associazione 7 Ottobre: non per chiedere pietà, ma per tenere viva la memoria quando tutto intorno tende a spegnerla. Non per contare i morti, ma per contare i vivi che non vogliono dimenticare. È un atto di resistenza culturale. Perché oggi la memoria non si conserva: si difende.
Si difende nei tribunali, nei media, nelle scuole, nelle piazze dove l’odio torna a camminare vestito da ideologia. Ricordare il 7 ottobre significa guardare il male negli occhi e dire: “Ti vedo. Ti riconosco. E non mi farò abituare.”
Controvento
Sappiamo che ricordare oggi non è neutrale. Chi difende Israele viene insultato, isolato, accusato di essere complice. Ma la verità non è questione di schieramento. È questione di dignità. C’è una linea invisibile che divide chi giustifica da chi si ricorda. Da una parte, chi cerca attenuanti al terrorismo. Dall’altra, chi ancora crede che il male non vada mai spiegato, ma condannato. Noi stiamo di qua.
Controvento. Perché se c’è una cosa che il 7 ottobre ci ha insegnato, è che la civiltà può spegnersi in un solo mattino. E che mantenerla accesa, oggi, dipende da chi ha il coraggio di ricordare quando tutti vogliono dimenticare.
7 Ottobre – Il giorno in cui l’umanità si è spenta per un istante
7 Ottobre – Il giorno in cui l’umanità si è spenta per un istante